Rassegna storica del Risorgimento

PISACANE CARLO
anno <1933>   pagina <90>
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Aldo Romano
Quanto a noi, dobbiamo confessare che dopo questa lettera la figura di Enriclietta oS piace di più, ci avvince maggiormente per la sua vera e sofferta umanità. E quasi non sapremmo più immagi­narci, senza questa sua debolezza, la donna; ci sembrerebbe una fi­gura troppo letteraria, troppo sago Gomme un'imago.
... Sii pur sicuro che qualsiasi cosa io scrivessi ai miei parenti, essi si disgusterebbero con me perchè ora sono persuasi che io sia come in famiglia, e punto dubitano che io potessi ricominciare a dispiacerti... allorché ho tue lettere vorrei venire da te, allorché ne ho da casa mia, non vorrei più venire, pensando che dispiacere ne avrebbe la povera Mamma. Quest'incertezza mi uccide. Rileggendo il quadro che mi fai della mia vita con te, mi deciderei di restarmi come mi trovo, perchè esso troppo mi spaventa... intanto se credi prudente di spendere qualche centinaio di franchi, e vorresti venire qui per meglio discutere a voce, direi non tardare più... .
E Carlo Pisacane accorre ancora una volta presso la donna. La rincuora. Le apre il suo animo. Riconosce forse in se stesso torti inesistenti. Ma ormai sa che non avrà più il coraggio d'abbando­narla. Si stabilisce a Genova, in una casa solitaria fuori mano, strappa con J denti il necessario per l'esistenza, ricomincia ad im­partir le snervanti lesàoncelle per procurarle quel minimo di agia­tezza, ma non la lascerà più. Pisacane sa ormai che la sua donna è un piccolo, debole essere, che ha bisogno della sua assistenza, della sua protezione. Ma lungi dal sentirsi staccato da lei, sa bene che il suo fascino sta sopratutto in ciò. E quasi la raccoglie tutta nella sua anima, la sopraffa, la nasconde.
Enriclietta infatti entra nell'ombra. Dopo questa lettera quasi nessun altro documento ci ricorda di lei. Sappiamo solo che a Carlo dette una bimba, Silvia, che fu la luce dei suoi occhi. Ed in questo anelito verso la madre e la figlia Carlo Pisacane mori. Poche ore prima della morte, a Tonaca, lanciava un proclama: Noi ab­biamo lasciato la famiglia e gli agi della vita, e ci guardate freddamente .
Sono accenti che sembrano di rimpianto e sono invece di di­sperazione.