Rassegna storica del Risorgimento

GIBUTI
anno <1934>   pagina <90>
immagine non disponibile

90
Angelo Piccioli
passato dalla concorrenza delle potenze con le quali noi ci tro­vammo poi alleati. Fu così che nel 1906 avevamo dovuto suhire l'accordo a tre, pel quale eravamo stati costretti a dividere l'in­fluenza su l'AMssinia con l'Inghilterra e la Francia, nonostante che nessuna di esse avesse potuto vantare il recente e sanguinoso titolo nostro.
Ma noi non potevamo dimenticare che il trattato di Uccialli del 1889 aveva stabilito all'Italia il protettorato su PÀbissinia, e che tal precedente, benché formalmente annullato dalla pace seguita alla disgraziata campagna del 1896, era per noi sostan­zialmente reso più forte dal grave, se pure allora inutile, sacri­fìcio sopportato.
L'accordo successivo aveva ridotto agli estremi ciò che prima era stato diritto nostro esclusivo, ed anche lasciando a noi l'in­fluenza su la più gran parte del territorio etiopico e la facoltà di operare il congiungimento ferroviario tra le nostre due co­lonie orientali, ne aveva reso irrisorio il vantaggio, limitando la nostra iniziativa ad ovest di Addis Abeba e consentendo così lo sfruttamento diretto e incontrastabile dello Harrar e dello Scioa per mezzo della costituenda ferrovia francese di Gibuti e della via di penetrazione inglese di Zeila.
Quindi il più logico compenso e non eccessivo com­penso! sarebbe stata una semplice reintegrazione (non si di­mentichi che con l'accordo del 1891 l'Inghilterra ci riconosceva i diritti su l'intera Abissinia): anche senza tornare al trattato di UccialH (i'Abissinia era com'è ancora uno stato indipen­dente) occorreva ridonare alla nostra influenza la sua pienezza e la sua vera efficacia. Riconcedere a noi di fecondare l'Etiopia e di valorizzare le sue risorse, avrebbe imposto ben lievi rinunzie ai nostri Alleati : lievi, perchè minime in confronto ai gigan­téschi guadagni da .essi conseguiti nello stesso continente afri­cano; lievi, perchè inerenti ad interessi non essenziali alle loro grandi azioni espansionistiche; lievi' infine, perchè rinuncie a vantaggi altra volta costituiti a detrimento nostro, più per lo scopo negativo di limitare la nostra iniziativa che per quello positivo di proteggere una corrente fondamentale di iniziative proprie.
L"Italia aveva, dunque, diritto di non attendersi una irragio­nevole ostinazione, una intransigenza assoluta.