Rassegna storica del Risorgimento

GIBUTI
anno <1934>   pagina <120>
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120 Angelo Piccioli
ce quale materia di trattazione e di scambio, piuttosto che come (( interessi iSingflil igni quali non si possa, da parte nostra tran­ce sigere ó, peggio ancora, come insormontabili impegni d'onore.
ce Certamente sarà grave sacrificio per l'Italia la rinuncia ce ad estendere il confine meridionale della Libia fino a corn­ee prendervi il Borcu, il Tibesti, l'Ennedi e parte del Uadai, ce nonché ad esercitare diretta influenza sulla regione del lago ce Ciad, secondo i diritti sempre affermati dalla Turchia: diritti ce che. oltre ad essere a noi devoluti per successione storica di ce sovranità, rappresentano, per ragioni geografiche, economiche ce e militari, il naturate complemento e sviluppo delle nostre ce colonie mediterranee. Ma. d'altra parte, non possiamo non ce riconoscere che, mentre la Turchia, in quasi un secolo di de­ce minio, non era riuscita a tradurre i suoi diritti di possesso, in ce possesso effettivo e a portare su quelle lontane terre un soffio ce pur tenue di civiltà, la Francia, in pochi lustri, con un'opera ce silenziosa, tenace, organica, movendo dalle sue colonie del ce Nord Africa, dell'Africa occidentale e dell'Africa equatoriale, ce ha raggiunto l'agognato congiungimento degli sparsi suoi ter-ee ritori, creando, in sintesi magnifica e trionfante, il suo grande ce Impero africano. Opera compiuta, secondo la nostra tesi, vio-ee landò precedenti diritti italiani, ma oggi, purtroppo, conchiusa e stabilizzata e*.jjfMSr di più, opera mirabile, ragione d'orgoglio ec per la Francia.
ce L'odierna prevalenza degli interessi francesi nell'Africa ce Sahariana e nell'Africa Centrale fra l'Atlantico e il Sudan, ec fino al Congo è uno stalo di fatto di chiara evidenza e, di ce fronte a questo riconoscimento, i nostri diritti ad un più ampio ce retroterra libico, restano bensì, ma non irremovibili e possono ce opportunamente venire da noi considerati come materia di scambio. II sogno di vedere ancora affluire a Bengasi e a Tripoli, ce come nei vecchi tempi, le pingui e lente carovane, dalle mi­re sterìose regioni del sud, può cadere, senza vano rimpianto da parte nostra, sé nuovi orizzonti africani si saranno frat-ce tanto schiusi alle aspirazioni e all'attività del nostro popolo.
Sacrifizio ancor più grave ci apparirà ogni transazione ec sulla delicata (juestione della nazionalità degli italiani in Tu-<c uisia, che strettamente si collega con la non sanata ferita, inferta ce nel 1881 al nostro orgoglio nazionale, dall'occupazione fran­ca ceso della Reggenza. L'Italia non ha ancora dimenticato che,