Rassegna storica del Risorgimento

PIAZZA ALESSANDRO ; GARIBALDINI
anno <1935>   pagina <930>
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930 Mario Lizzani
mentre loro lasciarono la pelle in ventidue fra i quali ce ne erano diversi decorati dei fatti di Perugia. Di più avevamo tutto il paese contro sicché ci dovemmo difen­dere da due fuochi perchè molti si divertivano a far fuoco dalle finestre. Noi tenemmo d'occhio le case dalle quali partivano tiri più frequenti e dopo messi in fuga quegli assassini dei gendarmi andammo a fare perquisizioni nelle case dalle quali erano partiti i colpi micidiali; scoprimmo tre lumini dei fucili ancora caldi e i proprietari furono fatti dormire in eterno innanzi a parecchi altri paesani.
Si voleva bruciare il paese, ma il Colonnello Zamhianchi non volle. Cessato tutto ci prendemmo in collo i feriti, ci portammo al confine e rientrammo in Toscana. Dovemmo ritirarci perchè mentre facevamo le ultime scaramuccie si avanzarono duemila svizzeri che, arrivati a Montefiascone, incontrarono i gendarmi in fuga e questi, credendo che eravamo noi di ritorno, sbalorditi dalle mele ricevute si presero a fucilate con gli Svizzeri. N. B. era di notte.
Non vi ho detto che noi con altri -aiuti eravamo arrivati a trecento ma di fucili non ne avevamo che centoventi, gli altri erano armati di lancia e scure.
Rientrati tutti in Toscana giunse un telegramma fatto dal Conte di Cavour che ordinava l'immediato scioglimento della Colonna.
Mentre marciavamo a piccole tappe per ritornare a Genova per poi imbarcarci nuovamente e raggiungere il Generale in Sicilia, alla terza tappa i soldati piemontesi ci arrestarono e a tappe militari ci condussero a S. Stefano spiaggia della Toscana, ci fecero trovare il vapore, ci imbarcarono e ci condussero a Livorno in Fortezza Vecchia. Dopo due giorni tutti coloro che appartenevano a paesi già liberati ossia annessi al Piemonte furono messi in libertà e romani e veneti furono tenuti ancora per cin­quantanove giorni in prigione.
Alla fine ci liberarono dalla Fortezza Premio, tornai a Genova aspettai altra spedizione e partii per la Calabria. Giunti a Mento spiaggia cominciammo lo sbarco che andò bene, ma ad un tratto fummo avvistati da tre Fregate borboniche che prin-espiarono a bombardarci: una granata ci raggiunse ed avemmo tredici perdite di uomini fra morti e feriti.
Le Fregate si avvicinarono requisirono tutto ciò che conteneva il vapore e poi gli dettero fuoco. Noi intanto avevamo risalite le montagne senza poter toccare cibo ed arsi dalla sete. Alfine fui colto da tali patimenti che mi lasciai cadere in terra men­tre gli altri proseguivano. Per caso passò di 11 una donna che tornava dall'aver cam­minato tre miglia per prendere una brocca d'acqua verde e solfurea si avvicinò e con quell'acqua mi ridette la vita. Riavutomi rintracciai la mia schiera e proseguimmo la marcia. Marcia terribile perchè fra stenti di mangiare e di riposare. Arrivati a Napoli feste indescrivibili.
Viene intanto il primo ottobre che fu la giornata terribile che terrò a memoria eterna giacché dovevamo essere fatti tutti a pezzi, ma anche quella passò. Poi andammo ad assediare Capua e dopo due ore di combattimento ci raggiunsero le forze piemontesi e allora fuori noi con l'ordine che non fosse entrato un garibaldino, cosic­ché ci divisero un po' per i paesi vicini ancora in subbuglio. Presto venne l'ordine di congedarci con l'elargizione di una gratifica di mesi sei di paga per ciascuno. Non aggiungo altro perchè il resto sarà meglio che ve lo dica a voce. Questo è tutto quello che ho passato in questa faticosa campagna. Intanto la salute è buona ed m altra mia seguiterò a tenervi al corrente. Vi saluto abbracciandovi. Vostro fratello
Alessandro Piazza.