Rassegna storica del Risorgimento

CAVOUR, CAMILLO BENSO DI ; SARDEGNA
anno <1936>   pagina <71>
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La completa unione della Sardegna al Piemonte, eec* 71
Fanny Ronchivecchi, moglie del prof. Antonio Targioni Tozzetti, scienziato illustre e allora Direttore del giardino botanico di Firenze, La lettera è la seguente:
Torino 1 dicembre 1847. Carissima Fanny.
Non so se questa mia troverebbe ancora il Pinotto a Firenze, preferisco dunque rivolgermi a voi per darvi le nuove importanti che abbiamo.
L Isola di Sardegna, governata fin qui con leggi speciali in modo affatto separata, avvolta in somma miseria, perchè appena uscita da due o tre anni dalle zanne del Feudalismo; ancora oppressa dalla decima ecclesiastica, che il clero sempre osi ina va si a non lasciar redimere, anche generalmente come si fece per i Feudi, il cui riscatto arricchì invece d'impoverire la nobiltà; 1 Isola di Sardegna, a ragione reputandosi parte d'Italia, vedendo propizia l'occasione di risorgere essa pure, viene di compiere giorni sono la sua rivoluzione.
All'annuncio delle riforme concedute al Piemonte, della soppressione ordinata del Ministero e del Consiglio supremo di Sardegna, i Sardi concitavansi. Lungi dal pretendere, come i Siciliani, un governo separato, i Sardi accortamente calcolarono che, poverissimi, non si potrebbero mai regger soli coi moderni spedienti di civiltà; che invece, aiutati dai mezzi abbondanti degli Stati di terraferma, più. presto vedrebbero risorgere la patria loro, dove nulli quasi, per difetto appunto di mezzi, eran tornati e falliti moltissimi de* miglioramenti tentati daU'uluminato Ministro Villamarina, con rammarico universale tolto agli affari.
Dominati da quest'idea che poteano formulare in modo ragionevolissimo deliberarono i Sardi di chiedere una fusione completa di leggi, d'ordini e di governo cogli Stati di terraferma ed in ispecie l'abolizione di ogni carico doganale fra le due parti del Regno.
Cotesto carico, ora esistente, è assai gravoso. Osservarono in fatto che, specialmente dopo la Lega doganale italiana testé convenuta, sarebbe stato contradicente e meu giusto che, mentre il Toscano ed il Romano, fors'anco il Modenese ed il Napoletano trafficherebbero fra di loro e coi liguri-piemontesi senza dazio di sorta, i Sardi e i Piemontesi, sudditi dello stesso Principe* avessero a pagarne ed a patire gl'incagli che dalle dogane derivano. Né a quest'argomentazione invero è lecito opporre fondata obbiezione.
Adottato pertanto dall'universale siffatto partito, cominciarono giorni sono a festeggiarsi le riforme piemontesi, cogli stessi segni dimostrativi qui usati. Bandiere, inni, coccarda azzurra al petto, etc, e siccome il vice Re, conte di Launay, luogotenente generale savoino, aveva mostrato qualche intenzione di impedire od almeno di temperare quelle dimostrazioni, si deliberò di farle in modo cosi imponente da incutergli timore, onde tosto cedesse al pubblico voto.
Le varie classi della società furono, se si eccettua qualche vecchio partigiano delle antiche idee, in ciò concordi; e la nobiltà sarda, più accorta in questo della piemontese la quale incauta-, mente persiste a tenere il broncio, seppe tosto porsi a capo dell'impresa.
Combinata la medesima, cominciarono gli studenti cagliaritani, fregiato il petto della nappa azzurra, a percorrer la città al grido di Viva il Re, Vivano le riforme piemontesi, ed al canto dell'inno torinese del Bertoldi, come d'alcuni inni sardi composti dai poeti cagliaritani.
In quel momento unitisi agli studenti molti notabili e gran quantità di popolo, vari con bandiere e molti anche hi armi, awiavansi al Castello dove risiede il vice Re, chiamandone ad alte grida la presenza, col fine di chiedergli permettesse l'invio a Torino d'una deputazione incaricata di chiedere Ja preallegata fusione. Il Vice Re, mal comprendendo le espressioni dell'idioma sardo, lasciatosi guadagnar dal timor panico, usciva in gran montura e consen­tiva ad ogni richiesta, con tale imbarazzo da lasciarsi troppo scorgere men atto a governare quel moto*