Rassegna storica del Risorgimento

BIBLIOTECHE ; FRANCESCO II RE DELLE DUE SICILIE
anno <1936>   pagina <125>
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Libri e periodici 125
tutte indirizzate al patriotta toscano. 'Cinque di esse, avverte il Puccioni con lodevole scrupolo di sincerità, furono giù parzialmente o totalmente pubblicate; le altre cinquantadue sono inedite.
Questo epistolario confidenziale non ci riserba sorprese né rivelazioni;; ritroviamo infatti
10 schietto profilo del Primo Cavaliere d'Italia come ebbe o chiamarlo Vittorio Emanuele.
11 d Azeglio ha una faccia sola; sia che si sfoghi con un intimo amico, sia che parli dal suo seggio di Ministro, egli, pure usando un linguaggio diverso, non deflette mai dalla linea che si è imposta.
La prima lettera è dei 1839; si salta poi al 1846 e con brevi intervalli si giunge fino al 1865. Parecchie toccano argomenti famigliari; di arte e di letteratura, sebbene, come è noto, il d'Azeglio fosse anche pittore e romanziere, non si parla mai. La nota dominante è la poli­tica: possiamo così seguire di anno in anno, il pensiero del grande piemontese di fronte agli avvenimenti di cui egli è spettatore e spesso anche partecipe.
Particolarmente interessanti ci appaiono le lettere che vanno dal maggio 1849 al gennaio 1850. Non si è ancora apprezzata al suo giusto valore l'opera di Vittorio Emanuele e del suo primo Ministro in quei mesi burrascosi e dolorosi: i demagoghi in subbuglio, la Camera ostile, la piazza che vocifera e minaccia.; e dall'altra parte i retrogradi in agguato, i principi restau­rati e il Radetzky che premono sul Re perchè non tenga fede ai suoi giuramenti. Ci volle la forza d'animo di Vittorio Emanuele e del d'Azeglio per tarar diritto e tenere a freno i sovver­sivi senza piegarsi ai voleri dell'Austria, sopprimendo lo Statuto che in quel momento era simbolo d'indipendenza e d'italianità 1
a li Partito solito al solito non capisce nulla I scrive il Nostro, ili0 luglio 1849 e non vogliono intendere che l'Austria farà tutto il possibile onde abolire lo Statuto in Piemonte e che appena appena, a forza di giudizio, si potrebbe ottenere che lo tollerasse e ci lasciasse stare. Ci vuol poco a capire che per l'Austria il poter tenere la Lombardia con una tribuna ed una stampa libera in Piemonte, è un sogno; a meno che non ci tenga 100.000 uomini. L'Austria, dunque, o con la forza o con l'insidia, se non ci mettiamo d'accordo, e se non stiamo in riga, tanto farà che rimetterà le cose sul piede antico .
Negli ultimi anni il d'Azeglio fu in un certo modo superato dagli avvenimenti. Come il Giorgini stesso, come gran parte dei moderati, egli non crede ancora attuabile il programma unitario, e nel giugno del '59 l'unione della Toscana al Piemonte gli appare per lo meno pre­matura.
È noto parimenti come il d'Azeglio disapprovasse la spedizione dei Mille e la politica seguita dal Cavour in quella circostanza. Fervente patriotta egli non può rammaricarsi che l'Italia risorga, ma si adatta male al modo e alle forme di questa risurrezione; non deve quindi farci meraviglia se in una lettera del novembre 1860 egli confessi di rimanere freddo e pensoso nel vedersi avverare il sogno e il sospiro di tanti anni . Però, da buon italiano, si affretta a soggiungere: Basta. La cosa, o con gusto o senza gusto, si fa; e questo è l'essenziale .
Negli anni che seguono, le generose impazienze del partito d'azione gli sembrano pericolose chiassate; secondo lui la questione romana va risolta mediante un accordo col Pontefice e con Napoleone III; anche Cavour ha errato, proclamando apertamente i diritti dell'Italia su Roma. L'accettazione del programma di Garibaldi e Mazzini è stata un errore funesto, che Dio per­doni al povero Cammillo, ma che la Storia giudicherà certo severamente, quando siano pas­sate tutte le smanie attuali... . Così scrive il Nostro il 29 giugno 1861.
Frasi di questa specie non suonano certo simpaticamente. Il d'Azeglio negli ultimi anni si creò infatti fama di codino e fu disapprovato anche dai suoi amici. Ma chi consideri quelle vicende senza preconcetti, sub speda kistoriae, non può scandalizzarsene all'eccesso. Le grandi figure di quel tempo ebbero ognuna un precìso compito da svolgere; ed era inevitabile che dopo averlo esaurito, il loro ritmo di marcia si rallentasse.
Come in un dramma il personaggio che ha recitato la sua parte si ritira in una più o meno discreta penombra osserva acutamente il Puccioni altrettanto dovettero operare i diversi uomini che figurano sulla scena del nostro Risorgimento.
Anche il d'Azeglio dopo il 1859 si ritira in penombra; e non basta qualche frase più o meno felice a offuscarne la memoria dinnanzi alla posterità.
GIACOMO LUMBHOSÒ