Rassegna storica del Risorgimento
anno
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1936
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pagina
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Libri e periodici
patria, e coraggio individuale; ma scorsa virili di organizzatore, nomina energia di comando, assenza di vasto concezioni strategiche, e soprattutto compieta ignoranza del meccanismo diplomatico.
U La Marmora si vantò di aver dato alla politica italiana un'improuta di perfetta chiet-tezza e lealtà, e il Ghiaia disse di lui in tono d'elogio che non comprendeva le sottigliezze diplomatiche, e anche il Silva mostra di consentire col Chiala quando contrappone all'azione rigida e diritta del La Marmora i mille espedienti e i subdoli accorgimenti del Bismarck. Ora, senza avventurarmi nella vecchia questione della morale privata e della morale politica, io credo che. neppure il più intransigente anti-Machiavelli osi pretendere che un ministro degli Esteri debba avvertire in anticipo delle sue intenzioni amici e nemici, e possa essere accusato d'immoralità quando l'interesse del suo paese lo induca a tacerle o a dissimularle. Tanto più quando amici e nemici sono della qualità di quelli coi quali aveva a che fare il La Marmora: un'Austria che si agitava e intrigava con tutti i mezzi per riprendere il terreno perduto, un Napoleone HI che mirava soltanto a puntellare il proprio prestigio vacillante e che aveva inalzato l'ambiguità e la reticenza a canone di governo, un Bismarck che non s'impacciava certo di scrupoli legalitari. Era per lo meno ingenuo rifiutarsi di seguitar la partita, fosse pure per onesti motivi, e poi lamentarsi che gli altri, continuando per loro conto, non si davano alcun pensiero del compagno troppo schizzinoso. E d'altra parte la forza degli avvenimenti costrinse anche il La Mormora a quel doppio giuoco che aborriva: cosi egli cercò a lungo di servirsi dell'accordo prussiano per indurre l'Austria a un'intesa diretta; ma le sue incertezze, le sue esitanze, le sue paure non servirono che a togliergli la fiducia dell'alleato, senza fargli ottenere alcuno dei risultati che cogli stessi strumenti, maneggiati con brutale risolutezza, seppe raggiungere il Bismarck.
Uno dei gravi errori del La Marmora fu di non comprendere lo intenzioni eie mire del ministro prussiano. E vero che questa incomprensione fu in quel tempo quasi generale, ma un ministro degli Esteri ha il dovere di veder piò chiaro e più lontano degli altri; e del resto non mancò chi, come il Govone, ebbe un'idea della vasta tela che si stava tramando a Berlino.
L'altro errore fu di non rendersi conto che le condizioni di fatto, quando non si possono modificare, devono esser prese come base d'azione per ricavarne quanto è possibile, e che le recriminazioni non servono a nulla. Che il trattato con la Prussia ponesse l'Italia in uno stato d'inferiorità è innegabile, ma non era certo peggiore di quello che erano stati otto anni prima i preliminari di Plombières. Se il La Marmora avesse tenuto presente l'esempio del Cavour, si sarebbe convinto che quel suo atteggiamento di sprezzante rancore verso il Bismarck non poteva che condurre l'Italia, come la condusse, in una situazione ancora più penosa di quella che da principio suscitava i suoi sdegni.
Ma il La Marmora, e il Del Bono lo dimostra ampiamente, non sospettò mai che la Prussia mirasse, attraverso l'Austria, alla Francia; non vide la necessità di allentare a poco a poco i legami che vincolavano l'Italia alla politica di Napoleone IH; non si accorse, o si accorse troppo tardi, che se il contegno della Prussia e quello della Francia erano egualmente infidi, da questa ultima potevano venirci i danni maggiori. Si può dire infatti1 che nel '66 il nostro nemico più pericoloso non fu l'Austria, e tanto meno la Prussia. Dopo aver seguito, come fa con grande diligenza il Del Bono, tutti i tortuosi avvolgimenti della politica di Napoleone HI, dopo aver letto il testo dal trattato che egli stipulò con Vienne, si può concludere che assai più dell'armistizio di Villofranca, Patteggiamento francese nel *66 basta da solo a demolire la vecchia balorda e interessata leggenda della nostra presunta ingratitudine nel '70.
Se l'opera del La Marmora come ministro degli Esteri fu del tutto inadeguata alle circostanze, ancor più discutibile è la sua azione di capo militare. I resultati del suo rifiuto di concordare un piano di campagna con la Prussia confermano una volta di più il principio che in una guerra condotta da più nozioni alleate Punita di comando è necessità vitale. H La Mar-mora, che conosceva la Prussia e il suo nuovo esercito, doveva prevedere che i danni di una azione separata sarebbero ricaduti su noi. E quanto olla questione di amor proprio nazionale, ancora una volta poteva essergli cti guida l'esempio del Cavour nel '55. D'altra parte il La Mormora, che volle dar prova di energia rifiutando ogni consiglio di Berlino, ordinando intempestivamente la mobilitazione e ribellandosi più tardi agli ordini del suo governo durante le trattative per l'armistizio, dimostrò di non possedere nessuna delle qualità di un capo, specialmente nel ~ triste episodio dei suoi rapporti col Cialdini.