Rassegna storica del Risorgimento
1860 ; DIPLOMAZIA ; ROMA ; SPAGNA
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Roma nel 1860
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e ragionamenti, dare la notizia precisa della avvenuta pubblicazione della nomina nel Giornale Ufficiale di quattro giorni prima. Ora, anche a prescindere da quanto conosciamo dei metodi e del temperamento del Gramontl) possiamo trovare una ragione della duplicità del suo atteggiamento a Roma e verso Parigi in questa circostanza. Quel che al Gramont stava soprattutto a cuore in quel momento era l'àilon-tanamento delle forze francesi dagli Stati della Chiesa. Gli stava a cuore per ragioni politiche generali e anche, e forse più, per il suo dissidio col generale Goyon comandante della Divisione francese. IL 24 marzo egli aveva scritto al Thouvenel: la necessità, dirò di più la urgenza, del nostro ritiro diviene
1) Il MENCAGCI, Memorie documentate per la Storia della Rivoluzione Italiana, Roma, 18791890, scrittore, invero, non molto sereno, che deplora (HI, 2. p. 272) l'inconcepibile cecità di Napoleone in appoggiarsi sa certa gente dello stampo del Gramont, di quell'uomo cioè che se fu nefasto per noi, fini, e non poteva essere altrimenti, per tornare nefastissimo alla Francia , non esita a definirlo un burattino di Ambasciatore dai Romani chiamato "il parrucchiere,, (HI, 2, p. 312). A noi basta giudicarlo ex ore suo. Irrispettoso e sostanzialmente ostile alla Corte presso la quale era accreditato, il Gramont appare dalla sua corrispondenza co Ministro Thouvenel, pubblicata nel citato Secret de VEmpereur, un ingiusto eleni gratore degli italiani ed un deciso avversario della loro causa. Quando ha da rimproverare un difetto di lealtà egli esclama: CPest eminemment UalienJ (Secret, I, p. 327) oppure commenta: Del resto è nel sangue della razza: domandare con una mano e colpirò con Valtra (ibid., I, p. 396); per lui la parola diritto non ha disgraziatamente alcun senso ed alcun valore quando si tratta dell'Italia (ibid*, I, p. 363): gli otto anni di permanenza in Italia pei quali egli vanta la sua esperienza delle cose nostre gli servono soltanto per definire la nostra lotta e la nostra passione un triste imbroglio (ibid., I, p. 356); e mentre egli dice: queste cose d'Italia e questi nomini d'Italia e di Roma soprattutto, mi ispirano un vero disgusto (ibid., I, p. 437) si atteggerà nell'ora più acnta della crisi a difensore della Santa Sede sol perchè il suo credo politico è questo: Io credo che l'Italia una d una cosa detestabile per la Francia... ora resistenza del Papa a Roma come potere temporale impedisce l'unità d'Italia. Dobbiamo dunque mantenetela quand'anche non vi avessimo altro interesse (ibid,, I, p. 336). Del resto gli Uomini nostri lo conoscevano. Cavour fin dal 10 febbraio 1859 raccomandava al conte della Minerva, Ministro sardo a Roma: Solletichi hi sua vanità e curi il suo amor proprio... non mostri di saperne più di lui giacché mette molta importanza a far credere essere egli il confidente dell' Im peratore (BOLLEA, Silloge, CLIII, p. 142). E Massimo d'Azeglio scriveva del Gramont il 19 marzo 1859 da Roma a Cavour: Ci è ostile o non capisco, come in questi momenti lo tengano qui. È poi un pallone di vento... (BOM"EÀ, Silloge, CXLI, p. 149). Ciò non toglie che uno scrittore autorevole di parte cattolica, il citato POUGEOIS (IV p. 196-197) abbia potuto attribuire il trasferimento u Roma del Gramont alla influenza del Cavour, che it renard incomparable lo aveva saputo prendere nelle suo reti mentre era Ministro di Francia Torino 1