Rassegna storica del Risorgimento

VITERBO
anno <1937>   pagina <1487>
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La questione viterbese 1487
Non solo noi, popoli civili e vostri fratelli- abbiamo difetto di ogni libertà; non solo sono fra noi disconosciuti i diritti della famiglia, quelli della coscienza; non solo la stampa è considerata come cosa sacrilega dai nostri governanti; ma la giustizia vi è ignota, la legge è scritta a ludibrio, l'arbitrio è norma costante, la calunnia e la menzo­gna sono portate in trionfo, e ni uno di noi è sicuro della vita e della libertà personale, consegnati come siamo agli sgherri ed a bande feroci che, rifiuto di ogni parte di terra, la corte di Roma armo a pubblica oppressione.
La volontà nostra, le nostre aspirazioni, le nostre opere per partecipare alla comune Nazionalità sono orinai fatti acquistati alla storia. Quando il vessillo della nobile Francia non lo impedì, noi rovesciammo il governo dei Papi; in presenza delle truppe francesi, dei gendarmi pontifici, noi votammo per la Monarchia Italiana e per Vittorio Emanuele; rioccupata Viterbo e molta parte della Provincia noi ci costituimmo in Lega dei Comuni ed ordinammo milizie a comune difesa. Dovunque soldati della Francia lasciarono il luogo, quelli della corte di Roma furono fugati e la bandiera tri­colore sventolò fra acclamazioni, fra i palpiti, che erano sinceramente l'eco di quelli risonanti dalle Alpi a Palermo. Con quale diritto una volontà tanto unanime sarà così lunga mente attraversata? Perchè i fratelli saranno trattenuti dell'abbracciare i fra­telli? Perchè tutta Italia non dovrà essere Italia? Potrebbe mai aversi lo scandaloso spettacolo di genti italiane poste al bando del diritto universale, condannate alla schiavitù, non padrone delle proprie sorti? No: è tempo di luce e il trionfo della ragione è assicurata. II mondo risaluta nell'ebbrezza la risorta regina delle nazioni, la madre' dell'antica civiltà, la propagatrice del risorgimento, la patria dell'Alh'ghieri; e l'eco de' plausi viene dai due emisferi a rallegrare i discendenti degli antichi trionfatori del Campidoglio, che riprendendo la spada si sono rialzati in nome della giustizia eterna.
Elevate, o Signori, altamente la vostra parola, ditelo per noi, per i nostri diritti e il primo Parlamento Italiano non avrà parlato al deserto.
Seguono le firme dei componenti la Commissione Municipale del 1860 e del comandante della Guardia Nazionale per mandato avutone dalla popolazione*
DOCUMENTO IV Illustre generale
Allo inopinato ed infausto annuncio che Voi partireste, per le riunite Americhe, Italia tutta si commosse, trepidò e pianse. La vostra dipartita, nei momenti in cui viviamo, era una nuova nazionale sventura. Non è dunque si facile il ridirvi quanto confortevole e lieto ci tornasse la buona novella che Voi, commosso alla Vostra volta dalle concordi e spontanee istanze di tutto un popolo, rimanevate ai cenni della Nazione. La vostra presenza fra noi nei pericoli che ci minacciano è arra ben certa di speranza ed indifettibile garanzia di salvezza.
Mirate, illustre generale, mirate Roma e Venezia: esse gemono tuttora nella più indegna schiavitù, esse protendono al Re Galantuomo ed a Voi le avvinte loro mani: esse da Voi e dal Re attendono riscatto e sulutc. E l'avremo perchè Voi rimaneste pel bene d'Italia nostra.
Con tale atto di abnegazione, di patriottismo e di devozione. Voi avete una volta ancora, se pur fa d'uopo, ben meritato della Patria. Sublime atto di abnegazione fu quello, con cui Voi la salute d'Italia preferiste al nobile orgoglio di capitanare, in una