Rassegna storica del Risorgimento

LAMBERTI TOMMASO ; SAN LEO
anno <1938>   pagina <1075>
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FONTI E DOCUMENTI
UN PATRIOTA ROMANO MORTO IN S. LEO L'AW. TOMMASO LAMBERTI
La restaurazione dello Stato pontificio nella crisi napoleonica del 1814 può dirsi più movimentata che altrove. Alla reazione politica che l'animava era congiunta quella religiosa e morale, e non solo contro le idee e le istituzioni dell'abbonito regime francese, ma altresì contro le persone in esso compromesse. Per le prime mons. Kivarola uno dei deportati e degli zelanti che Pio VII aveva mandato Delegato Aposto­lico per ricevere Roma e le provincie di prima recupera fu sollecito di pubblicare il 13 maggio l'editto con cui aboliva pressoché di colpo la legislazione imperiale, rimettendo in vigore la congerie de' vecchi bandi ed editti pontifici e tornando, specie in materia politica, alla sostanziale arbitrarietà de' giudici, delle sentenze e delle pene. Per le persone, nel primo impeto del mutamento, oltre ad eccessi di plebe contro fautori del regime cessato che non aveano avuto l'accortezza di rifuggirsi nel regno di Napoli, si ebbe da parte governativa la cessa­zione dagli uffici e dagli impieghi de' funzionari napoleonici e l'arresto de' compromessi più invisi, specialmente per la famosa scalata, finché, anche dietro raccomandazioni del card. Consalvi da Parigi, il Prosegre­tario di Stato il 27 luglio non pubblicò un indulto. Si profittò tuttavia del favore che poi parecchi in qualche modo manifestarono nella prima­vera del 1815 per l'impresa indipendentista murattiana addivenendo ad arresti e processi, de' quali ultimi maggiormente notevoli quelli di Frosinone, di Rieti e di Gubbio. Nel primo erano implicati invisi capo­rioni liberali come il col. Camillo Borgia di Velletri, il romano Angelo Rotoli e Giuseppe Diana di Ceccano. Due di loro per fortuna rimasero profughi; però il Diana, celebre non tanto per la scampata ghigliottina in Parigi allorché nel 1800 v'era stato arrestato come partecipe della congiura contro il primo Console, quanto per aver nel 1809 presenziato e verbalizzato come funzionario di polizia la cattura di Pio VII, venne consegnato nel 1815 dal Governo toscano al pontifìcio e condannato a 30 anni nel forte di Civitavecchia, dove nel 1829 languirà ancora.
Ma d'un processato e condannato in Roma, di quel tempo, e che per qualche lontana analogia, e specialmente per la fine pietosa, ricorda il napoletano Pietro Giannone, ci tarda di far parola, essendo egli rimasto fin qui affatto ignorato dagli storici. Avvenne d'imbatterci la prima