Rassegna storica del Risorgimento

LAMBERTI TOMMASO ; SAN LEO
anno <1938>   pagina <1096>
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1096 Domenico Spadoni
Frattanto giungeva al povero prigioniero nuova lettera della sua Maria, che l'esortava a non stancarsi di supplicare il card. Consalvi, ed egli tornava a scrivere al Segretario di Stato accompagnandogli un certificato di quel chirurgo condotto attestante una convulsione soprag­giuntagli nelle ultime notti. Ciò peraltro dava sui nervi al Comandante del Forte che, contro i costui asserti, si faceva un dovere di asseverare d'aver veduto sempre il Relegato in ottimo stato di salute con un felicis­simo aspetto di color vermiglio sempre sano di mente e di corpo e senza aver giammai rinvenuto nel medesimo alcuna alterazione di salute!
E pervenne finalmente al Lamberti la lettera con cui il card. Con­salvi gli comunicava la concessione del tramutamento. Egli il 3 ottobre ne lo ringraziava; però gli diceva che pure Perugia, circondata dai più alti Appennini, aveva il clima come quello di S. Leo, e per di più essendo esposta nella stagione invernale al freddo umido delle quotidiane nebbie del sottoposto lago Trasimeno.
Acche quindi esponili, Eminenza, alla mia età, nel mio stato di quasi conti­nua epilessia, che sempre più incrudelisce, ai nuovi disagi, che necessariamente mi recarebbe questo trasferimento ? Non ho forse io dato già bastante spettacolo a Dio, agli Angioli, ed agli Uomini nella mia prima venuta qui, nella quale ogni città, ogni luogo, in cui giungevo, o dovevo fermarmi, scortato da militari, i quali non so, se per istruzioni ricevute, o per proprio mal talento, mostravano di custodire un mostro feroce, più che un uomo, diveniva per me un teatro di avvilimento e di confusione ? Perchè rinnuovare queste scene, quanto penose, altrettanto obbrobriose, senza che la mia già sconcertata e logora salute ne risenta vantaggio ? Che dico senza vantaggio, anzi con evidente pericolo di male non più riparabile ? Chiesi la grazia di esser ridonato alla famiglia, ma se non ho ancora consumato il mio sacrificio, se non ho ancora trangugiato interamente il calice amaro, chinerò il capo, attendendo rassegnato in questo luogo i giorni della propiziazione; solo umilmente rinnovo la istanza di esser trasferito dal clima troppo inclemente del Forte a quello pia tempe­rato della città... Non permetta in grazia Eminenza, che io vada esposto a nuovi ludibrj. Già bastantemente quanto ho finora sofferto è stato straordinario e penoso in tutti i rapporti. Io non posso rammemorare senza la più acerba pena, non dico la qualifica del delitto, e l'acerbità della condanna, con cui, mentre si è mostrata tutta la potenza cantra folium, quoti vento rapitur, si è oltraggiata la gloria del Sovrano, ma le circostanze le quali 1* hanno preceduta. Un Prelato, che era parte offesa nel numero de1 Giudici: formato dei Giudici un segreto di stato, onde io non potessi allegarli sospetti; trascurarsi ciò dal difensore, il quale lo doveva per offizio, e per coscienza. Aggiungerò, Eminenza, cosa ancor più straordinaria, ma vera. Mi si è formato un segreto di Stato, non meno del Ristretto del Processo, che della Difesa. Io non ho potato leggero una riga né dell'uno nò dell'altro, e mi si 6 detto soltanto con un sangue freddissimo quando ne ho fatto ricerca, che si era fatta una Difesa da galantuomo. 0 h quante volte sono stato per credere che il Difensore avesse per scrupolo di coscienza dimandato la mia condanna. Ciò che ho dovuto toccar con mani è stato, che il buon Difensore mi ha difeso con la penna, ma non col cuore.