Rassegna storica del Risorgimento
AUSTRIA ; ESERCITO ; SARDEGNA (REGNO DI)
anno
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1939
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Carlo Antonio VianeUo
Ed in vero l'Austria, riducendo in patto la facoltà riservatagli dal Re, contrasse l'obbligo di favorirgliene, o almeno di non impedirgliene il libero esercizio. Or questo Ubero esercizio sarebbe impedito se l'Austria avesse il diritto di perseguitare gli uffizi a li designati dal Re a formar parte delle sue armate, se avesse anche il diritto di richiamarli al pari di ogni altro suo suddito, se in altri termini avesse il diritto di togliere anche indirettamente al servizio del Re quegli individui che essa lo autorizzò a conservarsi. Questo diritto dell'Austria implicherebbe, come ognun sente, contraddizione al diritto riservato al Re, e presupporrebbe una pessima fede.
O il diritto riservato al Re fu illusorio, poiché e illusorio il dire: servitevi dei miei dipendenti quando ad essi si impedisce di prestargli il contemplato servigio, o conviene necessariamente ammettere che gli ufficiali austriaci conservati dal Re nel suo esercito debbano per ciò solo ritenersi amnistiati ed autorizzati dallo stesso Governo austriaco a rimanervi, senza che possa ad essi venir recata la più lieve molestia. E impossibile sfuggire a questa alternativa, come è impossibile ritenere che il patto dell'amnistia non abbia a produrre i naturali suoi effetti, consentanei alla buona fede, ed alla dignità del Re di Sardegna. Né vale il dire che l'armistizio non contempla espressamente i lombardi già prima vincolati da speciali obbligazioni verso l'esercito austriaco. L'armistizio parla in termini generali, quindi non è lecito introdurre una odiosa distinzione tra i sudditi militari austriaci e i non militari. E poi non è egli naturale che il Re mirasse in tal modo a salvare queglino che erano i più compromessi verso l'Austria, e dalla cui opera poteva trarre un maggior profitto? L'indole e la delicata generosità del Re convince che si ebbero specialmente di mira gli individui che già appartenevano all'esercito austriaco.
Nemmeno può opporsi che siccome il trattato di pace non fa parola di ciò, cosi non è lecito di trarre alcun argomento da quanto fu convenuto nell'armistizio. Lasciando stare che il trattato di pace non è ancora divenuto obbligatorio, è certo che l'armistizio ha già prodotto i suoi effetti, rispetto agli atti che furono consumati in base di esso, e che questi effetti restano fermi ed inalterabili, a meno che qualche modificazione non sia indotta da posteriori convenzioni.
Per ritenere cessati questi effetti sarebbe stato mestieri di una esplicita dichiarazione nel trattato di pace; ma il trattato di pace non restringe in modo alcuno, e quindi lascia sussistere in tutta la loro pienezza le naturali conseguenze delle facoltà riservate dal Re con l'armistizio.
Queste, come ognun vede, sarebbero frivole obbiezioni, sarebbero sofisticherie indegne della lealtà delle partì e della gravità stessa dell'argomento. Il Governo del Re indebolirebbe il proprio diritto se si abbassasse a prevenirle, e potrà facilmente confutarle, se mai gli venissero opposte. Forte del patto conchiuso e geloso della propria dignità, il Governo saprà all'uopo sostenere che non dev'essere illusoria la facoltà che il Re si volle riservare nell'armistizio.
Giova piuttosto prevenire una grave obbiezione che potrebbe sorgere se venisse notificato il trattato di pace prima A. die il Re avesse fatto uso di questa facoltà. Si potrebbe apporre cioè che l'armistizio e di sua natura un contratto transitorio e provvisorio che cessa ogni sua efficacia con la conclusione del contratto definitivo e che quindi conchiuso il trattato non BÌ può più oltre esercitare un diritto accordato dal solo armistizio.
La obbiezione sarebbe certamente fondata poiché altro è che dopo il trattato di pace continuino le conseguenze degli atti già prima esercitati dietro la facoltà accordata dall'armistizio, ed altro è che dopo il trattato di pace questa facoltà possa venire