Rassegna storica del Risorgimento

EMIGRAZIONE POLITICA
anno <1940>   pagina <1038>
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1038 Libri e periodici
nella Virginia, ove introdusse anche nuove colture, specialmente quelle della vite e dell'ulivo: generoso, colto e buon parlatore, fu una delle figure più simpatiche dei noHtri avventurieri del Settecento.
Ma la conoscenza delle opere della nostra letteratura durante quel secolo è ristretta a poche persone colte. I contatti diretti cominciarono a stabilirsi soltanto al principio dell'Ottocento, e a rendersi sempre più frequenti, e a formare finalmente una tradizione di studi italiani come parte della cultura generale americana. Alla for­mazione di questa tradizione poco o nulla contribuì, in verità, l'immigrazione delle masse italiane in America: esse arrivarono quando la nazione americana era nel suo pieno sviluppo politico ed economico e quando era già ormai compiuta la grande im­presa della colonizzazione delle immense regioni dell'ovest, intensificata dopo la Guerra Civile. Nessuna meraviglia quindi se nel campo culturale l'influenza nostrana sia stata e sia rimasta molto inferiore a quella francese e tedesca, che si innestarono ben presto sulle tradizioni culturali inglesi dei primi colonizzatori. H contributo più efficace alla conoscenza e alla diffusione della nostra cultura in America fu dato da questi emigrati italiani, i quali riuscirono a crearsi una certa riputazione come insegnanti della nostra lingua e della nostra letteratura. Uno dei primi, ed nche il più noto di tutti, fu Lorenzo da Ponte, l'autore o rifacitore di tanti libretti d'opera, tra i quali Le nozze di Figaro e il Don Giovanni, che rimasero famosi per aver avuto la fortuna di essere messi in musica da Mozart, figura piuttosto equivoca, d'ingegno vivace e di facile vena poetica, fornito di buona cultura classica, ma lontano dall'essere uno studioso vero e tanto meno un vero pensatore, il Da Ponte ha il merito indiscusso di aver trasmesso all'America la tradizione umanistica della cultura latina. Più modesto, ma da un certo punto di vista forse più efficace, fu il lavoro di altri insegnanti italiani che per molti anni insegnarono la nostra lingua nelle più note scuole superiori dell'America, prepa­rando così il terreno per gli studi più seri di letteratura e di filologia che dovevano più tardi produrre copiosi risultati. L'A. ricorda in particolare Pietro Bechi, siciliano, di Palermo (il suo vero nome era Pietro Batolo), uomo di ottima cultura, della cui perizia nell'insegnamento sono prova le sue varie pubblicazioni di carattere grammaticale e filologiche e le sue antologie compilate per uso degli scolari con criteri prevalente­mente pratici, ma con un certo gusto e con un'erudizione per quel tempo e per quel­l'ambiente veramente considerevole; e Antonio Gallenga di Parma, che, rifugiatosi in America perchè perseguitato dalla polizia come mazziniano, venne a contatto con il piccolo mondo universitario di Harward e con la migliore società del luogo e vi tenne lezioni e conferenze e vi pubblicò anche, per suggerimento del Longfellow, un volu­metto di poesie, romanze e ballate, che furono accolte con un certo favore. Tra i molti intellettuali italiani, specialmente esiliati politici, che varcarono in questi anni l'oceano e vissero in America dedicandosi particolarmente all'insegnamento privato, è degno di menzione il gruppo degli ex prigionieri dello Spielberg: MaronceOi, Foresti, Borsìeri e Gastiglia.
Ma a diffondere in America la conoscenza della letteratura, non solo della lin­gua, cooperarono particolarmente due americani: il Ticknor e il Longfellow. Giorgio Ticknor, bostoniano di ricca famiglia, che già a tredici anni traduceva le orazioni di Cicerone e leggeva il Nuovo Testamento, viaggiò per istruzione gran parte dell'Eu­ropa (più volte fu in Italia) e vi contrasse molte amicizie con quanto vi era allora di meglio e di più illustre nel mondo letterario, artistico, politico ed elegante. Alla Har­ward si limitò dapprima a tenere dei corsi generali in cui egli passava in rassegna i capolavori delle letterature moderne mostrandone le relazioni con le letterature clas­siche. Dante occupava in questi corsi un posto importante. Ma tredici anni dopo, nel 1833, gli studi nella scuola erano cosi progrediti da permettergli di tenere un corso speciale sulla Divina Commedia e sulla Vita Nova, inaugurando così una tradizione che via via si diffuse in altre università e per cui gli studi danteschi entrarono a far parte viva della cultura americana. Dimessosi nel 1835, perchè, molto ricco, desiderava