Rassegna storica del Risorgimento

EMIGRAZIONE POLITICA
anno <1940>   pagina <1048>
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1048 Libri e periodici
Mirabile fa l'armonia tra le due Camere, bella l'unanimità dei voti. Il nome-di Alberto Amedeo di Savoia, Duca di Genova, echeggiò fra il plauso commosso di tutti.
La prima notizia in Piemonte arrivò portata da Enrico Alliata di Viliafranca, latore di dispacci del Presidente del Governo, Buggero Settimo, e del Ministro degli Affari esteri, Mariano Stabile.
Il 24 luglio sul Descartes si imbarcava per Genova la deputazione incaricata di consegnare ufficialmente al Principe sabaudo Tatto di nomina. La componevano il Duca di Serradifalco, Presidente della Camera dei Pari, il Barone Pietro Riso, Pari elettivo e Comandante generale della Guardia Nazionale di Palermo, il Principe di Torrernuzza, il Principe di San Giuseppe, e i signori Francesco Ferrara, Francesco Paolo Perez, Giuseppe Natoli, Gabriello Camozza. A Torino si trovavano già, quali commissari del Regno di Sicilia presso la Corte Piemontese, Enterico Amori, Casimiro Pisani, Giuseppe La Farina.
Il Duca di Genova, sia pure malvolentieri, dovette declinare l'offerta che i mini­stri non ritenevano in quel particolare momento, in vista soprattutto dell'andamento della guerra, opportuna per gli interessi sabaudi. Tutto ciò era noto, ma i dispacci di Amari e di Pisani, pubblicati adesso dal R. Istituto per la Storia del Risorgimento. sono interessantissimi per la nuova luce che portano sulle trattative, per i giudizi espressi che risentono evidentemente della passionalità del momento e per i riferimenti frequen­tissimi ad avvenimenti che non avevano rapporto con la candidatura del principe ma che non mancavano di interesse.
Questi documenti sono in un certo senso anche una cronistoria degli avvenimenti del 1848-49. I commissari siciliani non mancavano di informare dettagliatamente il loro Governo dell'andamento della guerra e dell'orientamento politico del Ministero piemontese. Dal canto suo il Governo siciliano trovava opportuno che i suoi rappresen­tanti all'estero fossero al corrente degli avvenimenti interni.
Molta fiducia aveva il Governo siciliano nell'appoggio inglese. In una lettera datata 29 ottobre 1848, il Ministro degli Affari esteri scrive ai commissari in Torino: La franca cooperazione di sir Ralph Abercromby ci assicura che la politica inglese non ha deviato sul conto nostro, e perciò le SS. LL. fan sempre bene di tenersi collo stesso in buona relazione.
Ma già 1*11 novembre, il Ministro era costretto, in vista del mutarsi della situazione politica, a scrivere ai commissari: Desidero solo richiamare alla loro memoria la neces­sità che il rapido cambiarsi delle cose attuali in Europa rende sempre più. importante di tenersi cioè all'erta sui movimenti de' Ministri Francese ed Inglese presso codesta Corte a riguardo nostro.
Il Ministero siciliano comincia a stare all'erta. Troppo tardi. La doppiezza inglese traspare a sufficienza da una lettera in data 26 novembre dei Commissari al Ministro degli Affari esteri in Palermo. Ne riportiamo un brano : Ella ci raccomanda star vicino a* due rappresentanti di Francia ed Inghilterra, e noi abbiamo ciò adoprato, nella misura però dell'utile e della dignità del nostro paese. Una volta però che non fu piò dubbia che le due potenze intendevano aprire le trattative col Re di Napoli, e da quel momento il linguaggio nostro doveva cambiare, e non soffrire passivamente le proteste singolari deE*Abercromby, che tuttora ci dice, che se il Duca di Genova accettasse egli il riconoscerebbe; mentre noi eravamo sicuri che il Ministro inglese a Firenze si oppo­neva al Governo toscano che avrebbe voluto formalmente riconoscere l'indipendenza siciliana, avremmo dovuto coi documenti olla mano dare una smentita all'Abercromby* quindi noi ci siamo astenuti dal frequentarlo come prima, cionondimeno abbiamo fatto quanto era sufficiente per conoscere lo stato delle cose, o siamo riusciti a sapere che le basi degli accordi con Napoli per l'Inghilterra sono ancora indecise; che si vorrebbe tornare a quelle di Minto, o al piò a dar la Corona ad un figlia del Borbone, che però non si: intendeva imporle.