Rassegna storica del Risorgimento

DUCCO LUDOVICO ; PROCESSI
anno <1941>   pagina <12>
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12 Giuseppe Solitro
Da ciò egli è evidentemente dimostrato che lo scopo cai e diretta l'obbligazione della denunzia, quello si è d'impedire il male, mentre cessa ogni obbligazione di denun­zia se questo non sia ragionabilmentc a temersi.
Premesse queste succinte osservazioni sulla Legge, devo ora con estremo dolore richiamare quelle circostanze di fatto che nella mia sventura involgono anche il mio figlio Antonio, e che mi rendono il più sventurato dei genitori.
Fu verso la metà circa del mese di marzo dell'anno 1821, come deposi anche nel mio terzo Costituto, che egli mi avvertì'; che Tigoni Camillo, Scalvini Giovita ed alcun altro volgevano in niente di eccitare in Brescia un'insurrezione, che egli nella mattina dello stesso giorno aveva fatto il possibile per distornerli, che nella stessa sera radunare si dovevano in casa del conte Lodovico Ducco per deliberare, che affine di evitare i grandi mali che potevano succedere era necessario che io mi recassi colà onde cooperare con esso lui in modo che il concepito progetto venisse abbandonato.
Dopo questa comunicazione non frapposi che un breve intervallo di tempo a recarmi in casa del conte Ducco suddetto.
L'ex colonnello Moretti fu l'espositore de progetto; questo venne combattuto da me, da mio figlio e dal conte Ducco come ho già deposto, e le opposizioni ebbero un primo successo, perchè il progetto anzidetto venne rigettato.
Da ciò risulta che l'idea criminosa da taluno concepita di occupare i quartieri militari e di impossessarsi delle pubbliche casse onde eccitare quindi un' insurrezione, fu un' idea fuggitiva e di brevissima durata, appena concepita venne anche tosto abbandonata senza lasciare di sé veruna traccia di fatto, e senza turbazione alcuna della pubblica tranquillità.
Io adunque per quanto la Legge mi prescriveva, cioè di oppormi per quanto era in me all' impresa che si meditava ed al progresso di essa, ne ottenni l'intento, né d' più la Legge da me richiedeva.
Neppure la seconda specie di correità può essere a me attribuita, quale è quella che risulta dalla ommissione della denuncia,* perchè mancano gli estremi che la Legge richiede onde stabilire siffatta colpa.
Manca il pruno, perchè a me non constava che della intenzione di delinquere manifestata nell'esposto progetto, volontà rievocata tanto dopo, come ho detto di sopra, ma la sola volontà di delinquere non bastava ad istabilire un delitto perfezionato in alto tradimento.
La Legge obbliga sotto pena di correità a denunciare il reo di un delitto di alto tradimento commesso od intrappreso, non colui che aveva avuto la intenzione di commetterlo, e molto meno se la intenzione fosse stata abbandonata.
Ad istabilire siffatto delitto sarebbe stato d'uopo che il progetto fosse stato perfezionato, o almeno incoato ne' suoi mozzi, e che, anziché succedere una ritratta­zione, ne fosse stata tentata l'attuazione, niente importando che l'attentato fosse rimasto senza effetto.
Anche nei delitti di alto tradimento che hanno rapporto alla persona del Capo Supremo dello Stato (sebbene siano d'un'ìndole più perversa di quelli che riguardano la forma del Governo) tuttavia, secondo le disposizioni del Codice Penale, non basta la sola intenzione per istabilire la reità, ma è mestieri che vi sia il concorso di un conato qualunque, dacché è costituito reo di siffatto (rimine colui che offende o tenta di offendere la personale sicurezza del Capo Supremo dello Stato, come è disposto nel paragr. 52 a e paragr. 53.