Rassegna storica del Risorgimento
DUCCO LUDOVICO ; PROCESSI
anno
<
1941
>
pagina
<
15
>
La magistrale difesa di un inquisito bresciano, ecc. 15
progetto, e a qualunque anione, tutto fu sempre a me ignoto né io seppi che da taluno si rivolgesse in mente l'idea di una insurrezione, se non nel momento in cui fui pregato d'intervenire a quell'adunanza onde deviare il colpevole divisamento. Vi andai, feci il mio dovere, l'effetto corrispose pienamente all'oggetto del mio trasferimento in quella adunanza, essendoché nessuno di coloro richiamò l'idea neppure di quel progetto, anzi quelli che vi avevano avuta la parte principale, si dispersero allontanandosi da Brescia, quasi vergognosi della intenzione che avevano esternata. Egli è adunque certo che l'unica parte ch'io ebbi a quell'adunanza fu quella di fare il bene allontanando il male. Ed è certo somma sventura per me, e lagrimevole cosa, che da una buona azione me ne sia derivata tanta sciagura, la quale oltre la perdita della libertà individuale, mi cagiona enormi ed irreparabili danni.
Essendo pertanto da tanti titoli derivanti dalla stessa Legge dimostrata la di lei inappHcabilità al caso mio, una denuncia che io avessi portato alla magistratura politica siccome involvente persone appartenenti alle famiglie più qualificate del paese, quali sono i conti Martinengo, Ducco ed Ugoni, mi avrebbe reso il soggetto della esecrazione di tutta la Città e Provincia, e considerato qual delatore, perduta la pubblica confidenza sarei stato costretto di abbandonare professione, famiglia e patria, perchè una persona onesta non potrebbe vivere in una Città, dove la considerazione di cui aveva goduto dianzi, si fosse rivolta in odio ed abbominazione, tale essendo l'invariabile sentimento con cui vengono riguardati i delatori dalla generalità dei Cittadini.
Sin qui ho trattato la mia causa sui casi espressi dalla Legge, e l'ho discussa nel migliore modo che mi è stato possibile, dacché l'enormità del delitto, di cui sono imputato e l'atrocità della pena che vi è annessa, mi costituiscono in uno stato tale di continuo perturbamento d'animo e di mente che incapace mi rendono ad una robusta difesa, la quale però, sono certo, verrà per zelo di giustizia e per sentimento di umanità integrata dalla penetrazione dei Tribunali che devono pronunciare sulla mia sorte.
Ora sono a supplicare i miei Giudici che sentano hi causa di uno sventurato padre.
Egli è indubitato che volendo io portare una denuncia sull'argomento di che si tratta, avrei dovuto necessariamente involgere in una procedura per ommessa denuncia anche mio figlio, attese le cose superiormente dette e quindi costituirmi con uno snaturato e primo esempio, spontaneo accusatore di quello che da me ebbe vita e civile esistenza. Dico spontaneo accusatore, perchè il Codice Penale dove stabilisce correo colui che deliberatamente ommette la denuncia, non fa nessuna specifica menzione del genitore a riguardo dei di lui figli, quantunque ne parli separatamente come dirò in appresso.
E siccome una siffatta denuncia sarebbe contraria alle Leggi di natura, così non essendo imperativamente con una diretta disposiziono della Legge spiegato che il genitore sia tenuto a denunciare il proprio figlio, non si può ritenere ch'esso sia sottoposto ad una obbligazione, che in tale specialissimo caso non è determinata, e che non può essere regolata da massima generale, essendo assurdo il supporre che senza un espresso precetto la Legge abbia costretto il padre a farsi spontaneo accusatore del proprio figlio.
Presso i Romani con molte Leggi fu dagli Imperatori stabilito che nec vohntibus fosse permesso ai genitori /erre ttuttinwnivm contro libcros, né a questi contro di quelli, e ciò per rispetto alle Leggi di natura.