Rassegna storica del Risorgimento
RICASOLI BETTINO
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1941
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Mario Nobili
sua Betta, amareggiate dalla malattia della moglie. Alla fine di giugno lo sposalizio della figlia e nei primi giorni di raglio la morte della Baronessa. Ed eccolo solo, triste disanimato, sfiduciato di tutto. I fratelli, gli amici tentarono riattaccarlo alla vita operosa della campagna, ma per qualche anno il suo animo rimase triste, svogliato senza trovar cosa che gli rendesse la pace e gli riempisse il vuoto della sua casa solitaria.
Nel 1854 il fratello gli propose l'acquisto di una fattoria in Maremma La Grangia perchè vi si dedicasse interamente e gli servisse di distrazione, ma l'affare non si fece e solo l'anno dopo, nella primavera del 1855, acquistò la fattoria di Barhaneuo, vicinissima a Grosseto, sempre per interessamento del fratello Vincenzo. Andò allora in Francia e in Inghilterra per studiare i nuovi macchinari agricoli, cercò quali potessero essere utili alla Maremma, comprò macchine ed utensili e ritornò a casa; ma tutto ciò non servì a sollevarlo. Ed ecco che il 24 settembre 1855 scrive al fratello disgustato della Maremma, anelando ad altra vita che non lo costringesse ad occuparsi senza posa dei fatti materiali della campagna, che gli toglievano ogni libertà. Forse tale stato d'animo influì anche sulla parte della lettera che tratta della politica del momento.
Come avrebbero potuto i compilatori di Lettere e Documenti conciliare le parole del Bicasoli in questa lettera con gli osanna al Piemonte della loro prefazione al secondo volume (184959), dove la lettera avrebbe dovuto trovar posto, ed ai tanti giudizi dal Bicasoli stesso espressi nelle lettere pubblicate ? Si legge in una lettera a Vincenzo da Zurigo, il 24 dicembre 1849 (Lettere e Documenti, IT, 60): Ora questo esempio, che in uno Stato, in ispecie piccolo, il Governo è tutto, il Piemonte ce lo dà, e quantunque per la corta nostra vita io creda che nessun risultato generoso e grande sia per dare, pure non sarà perduto affatto neppure per noi e gioverà anco più in futuro. Il 2 maggio 1850, sempre da Zurigo, scrive a G. P. Vieusseux (II, 87): Io considero tutte le contrade che si dicono italiane e, toltone il Piemonte, non ne veggo una che offra speranza di comporsi in termini da* quali possano, nell'avvenire, venire dei frutti che si accordino col generale movimento delle idee . Ed al Salvagnoli il 27 dicembre 1853 (II, 281): Con quel Re e con quegli uomini di Stato le condizioni del Piemonte non allarmano; ed anzi ogni anno che passa è un periodo maturato di vita rigenerata, nella quale quei parliti, in cui apparisce diviso il paese, sono invece, mi pare, tante forze di coesione che infine scompariranno, quando sia raggiunto lo scopo di formare la grande forza della nuova educazione civile e politica di quel popolo. Là si vive e si vivrà. Ma noi ? . Nel 1855 quando, come ho detto, il Bicasoli si era messo in viaggio per studiare i moderni sistemi di coltivazione da adottarsi in Maremma, scriveva al fratello sul Trattato di alleanza del piccolo Piemonte con la Francia, l'Inghilterra e la Turchia per la guerra di Crimea: A parte il sangue che si andrà a spargere ecc. nel resto il Piemonte, con poco sacrifizio di denaro, ha comprato nelle eventualità future, un posto che può avere conseguenza di grandi resultati (da Genova il 30 gennaio 1855, II, 303). Se pochi giorni dopo, il 12 febbraio (H, 306) non era più tanto contento del Governo piemontese e dava tutto il merito dell'alleanza alla fermezza, lealtà e criterio del Re, che ha gettato la spada sulla bilancia, mentre il Ministero esitava e nel maggio successivo (II, 327328) disapprovava ancora quel Governo di patteggiare, compremettendo il Re, eoi Vescovi, quando al Senato si stava discutendo la legge sulla soppressione dello Corporazioni religiose, non mancava poi di scrivere a Vincenzo in Crimea il 25 giugno (H, 338): Si dice stabilito che, in caso della ripresa delle conferenze, il Piemonte avrà, esso pure voce in capitolo* Mi pare che ne abbia il diritto.
I) Bicasoli aveva aspettato fino al 24 settembre 1855 a parlare a cuore aperto a Vincenzo che questi fosse giunto in Italia, perchè voleva trattare con piena libertà