Rassegna storica del Risorgimento

anno <1941>   pagina <867>
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Addio, mia betta* addio , ecc. 867
universttario che oggi viene impartito nelle maggiori università del Regno e, poco più oltre, 1 apparenza, ma essa sola, dà ragione a chi ritiene la storia del Risorgimento non meritevole d'essere considerata come materia scientifica. In effetto è possibile* è serio stabilire una graduatoria tra le storie di diversi secoli?1) Dal che si vede come la buona memoria sia uno dei requisiti materiali più. necessari allo storico.
Col cambiamento di nome dal Monti proposto, qualora non si accompagni anche ad uno di sostanza, che cosa dovrebbe venir fuori ? Prendiamo il Monti stesso come esempio. Egli, in un ventennio fattivo di studi e di ricerche, ha messo al mondo come almeno fino al 1939 risorgimentista, una mezza biblioteca di opere, tutte approvate e lodate dagli studiosi, dalla critica e dal pubblico, e dalla cattedra ha svolto corsi importanti e ha indirizzato i giovani alle indagini e alla interpretazione degli avvenimenti storici. Altri hanno fatto come lui. Ora, se quelle opere valgono, come in realtà valgono, se quell'insegnamento fu efficace, come fu in realtà, il fatto che egli fosse, allora, un risorgimentista , secondo la concezione accademica del termine, non mi sembra che abbia impedito a lui (e ad altri) di compiere un onesto e profìcuo lavoro. E vuol cambiare etichetta? Se, come non è, quelle sue opere e la sua fatica di inse­gnante e quelle d'altri (metto subito nel conto me stesso, per scaramanzia) non avessero alcun valore, è credibile che gioverebbe a lui e agli altri cambiare la sullodata etichetta ? Ma tutti i risorgimentisti, cui il Monti accenna nel suo studio, e gli altri che tace* hanno avuto sempre ed hanno ancora chiara coscienza della necessità di studiare intelligentemente la storia della quale si occupano. Perchè tutto sta qui: nella intelli­genza dello studioso, nella sua preparazione, nella sua sensibilità critica, oltre che nel suo senso d'umanità e nella sua capacità didattica, la quale ha anch'essa* credo, qualche importanza per chi intenda assolvere degnamente la propria funzione d'insegnante. Dilettanti ce ne sono ancora, ce ne sono troppi, ma restano dilettanti; i più sanno benissimo, nel nostro campo ed altrove, che non si studia più a compartimenti e che occorre tener d'occhio la vita e la storia contemporanea di altri paesi, pur se non sen­tano il bisogno di informarne ad ogni pagina i propri lettori.2) Anche se, diversamente dal Monti, il Rodolico gli faccia un po' gratuitamente carico di aver concepito e insc-, gnato la storia del Risorgimento come qualcosa di staccato da tutto il movimento del sec XIX, in cui bisogna inserirlo, io mi onoro di essere stato discepolo di Michele Rosi e sono disposto fin d'ora a sentirmi accusare di essere rimasto entro uno stretto orizzonte. Ebbene, proprio Michele Rosi cercava quotidianamente di ammaestrare dalla cattedra i suoi discepoli a guardare al di là delle strettoie delle date e dei confini, al di là delle comode pastoie della lectio recepta, delle riputazioni tradizionali* della eloquenza commemorativa, della propaganda di partito, della retorica conviviale, e a studiare con occhi aperti uomini e cose, a esercitare la propria capacità nell indagare aspetti e rapporti della nostra storia con quella europea. E i suoi discepoli mostravano di comprenderlo e di assimilarne lo spirito, come le opere di molti tra loro hanno atte­stato. I luoghi comuni della storiografìa ereditariamente accomodante* quelli contro
*) A. Moira, Gli studi di Storia del Risorgimento, negli ukùni cento anni, estx. dall'opera Un secolo di progresso scientìfico italiano: 1839-1939, Roma, XVIII E. F., p. 296 e 297.
2) Molti titolari delle cattedre di storia moderna nel senso più specifico si occu­pano oggi di storia del Risorgimento con quella ampiezza di vedute e quella sensibilità dei nessi tra storia del Risorgimento italiano e storia mondiale contemporanea, che il Rodolico vorrebbe riservare come prerogativa necessaria ed esclusiva del professore di storia contemporanea , MOBGHEN, op. cit., p. 3 dell'estratto.