Rassegna storica del Risorgimento

anno <1941>   pagina <868>
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Alberto M. Ghisalberti
i quali, dopo di lui, sono fieramente insorti altri studiosi, svalutazione del Settecento, dipendenza del Risorgimento nostro dalla Rivoluzione francese, tradizionali amicizie, prevalenza di fattori stranieri e via dicendo, erano da lui sfatati e smantellati. Erano gli anni in cui c'era tanto da fare per combattere le tendenze agiografiche e retoriche annidatesi nella storiografia del Risorgimento, che si comprende come il Rosi, pur non perdendo mai di vista gli altri problemi, si dedicasse a eliminare spiriti e atteggia­menti che potevano nuocere alla retta valutazione dei fatti storici, difficoltà maggiore allora che oggi non sia, tanto cammino s'è fatto in questo campo. E quel vecchio Mae­stro, dal corpo possente pur nel male che lo aveva stroncato e dalla testa carducciana­mente leonina, riusc a indirizzare agli studi o al magistero centinaia e centinaia di gio­vani, che seppero dimostrargli d'avere bene inteso lo spirito del suo insegnamento , come egli scrisse dedicando ai suoi discepoli, ai suoi figli spirituali, che erano partiti per la guerra, VItalia odierna, l'opera consacrata a rievocare due secoli di lotte, di studi e di lavoro per l'indipendenza e la grandezza della Patria. Difetti e insufficienze non mancarono nell'opera sua, come non mancano in quella di nessuno storico, ma non sarà male ricordarsi, per umiltà, che mentre tutti crediamo per fede in un Padre Eterno che non abbiamo mai veduto, nessuno degli storici pud pretenderla a padreterno, anche se in giro ce n'è tanti che. vorrebbero esserlo.
Se è giusto tacere dell'insegnamento del Bertolini e, ma già meno, sorvolare su quello del Masi, perchè non ricordare come, prima dell'ormai arcinoto concorso del 1936, in Italia ci siano stati altri due insegnanti, e titolari questi, di storia del Risor­gimento, Francesco Lemmi, a Torino, al quale la nostra disciplina deve apporti cospi­cui e opere di grande pregio, e Giuseppe Gallavresi, del quale il Monti ha conservato a Milano la scuola ?
Mi par difficile, salvo che non si tratti e non è di partito preso, negare che questi studiosi e gli altri che, anche da cattedre diverse (lo stesso Lemmi abbandonò la sua), hanno fatto frequente oggetto dei loro corsi la storia del Risorgimento, non abbiano avuto alcuna influenza sullo sviluppo dei nostri studi.
Sui quali, poi, sarà anche opportuno intendersi per evitare confusioni ed equivoci. Io comincio a nutrire il sospetto che, quando si legge: ma certamente ognuno di noi deve augurarsi che lo studio del Risorgimento diventi sempre meno rettorico, meno influenzato dalle sopravvivenze dei partiti, meno staccato da tutto il movimento del sec XIX e sempre più permeato di spirito critico, si corra il rischio di aprir la strada a un nuovo tipo di retorica: la retorica dell'antiretorica. Ed è anche questo un rischio serissimo, che può avere gravi conseguenze per i nostri studi. Perchè, pur non essendo necessario ragionar qui su che cosa s'intenda per Risorgimento e quali ne siano i Ijmitj cronologici (ormai quasi tutti siamo d'accordo, anno più, anno meno, a farlo iniziare ai primi del Settecento e a condurlo uno alla prima guerra mondiale, con la quale i maggiori problemi caratteristici del Risorgimento poterono considerarsi, i n gran parte, risolti),x) occorre reagire ad una singolare accusa che dal Rodolico vien lanciata sulle teste di quei poveri ce risorgimentisti non ancora andati a Damasco o a Canossa, secondo i gusti, e dal fino a ieri risorgimentista
0 Vedi quanto, con molto buon senso, ha scritto su tale questione un valo­roso risorgimentista , GIOVANNI NATALI, La Storia del Risorgimento italiano nella cultura contemporanea, Bologna, 1933-XI. Per la questione del terminus a quo, vedi quello che, fin dal 1906, sosteneva Giacinto Romano, Atti, eit., p. 99. Ed anche A. MONTI, Dagli albori del Risorgimento aWImpero, Brescia, La Scuola, 1938-XYI, pp. 9-13,