Rassegna storica del Risorgimento

1841 ; AQUILA
anno <1942>   pagina <855>
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La sollevazione aquilana del 1842 855
l'intendente Gaetani, che era stato accusato di poca vigilanza, dal Ministro, rimase cola per altro tempo. Invece l'intendente di Teramo, Palamolla, subito dopo lo sconvolgi­mento politico di Penne, che ebbe perfine la Costituzione, e nella quale citta nessuno rimase ferito, tranne un certo Colarossi, fu dal superiore Ministero immediatamente richiamato a Napoli.
H misfatto fu detto atroce, e l'attentato all'ordine pubblico grave per sé e per le conseguenze. A capo del movimento aquilano v'erano nomini che rappresentavano la cultura e il patriziato: erano forse tutti seguaci della Giovine Italia, che nella città dell'Aquila aveva cambiato nome e si chiamava cela riforma della Giovane Italia. Era questione di metodo. I mazziniani abruzzesi facevano come meglio potevano: notava il Settembrini: Mazziniani veri ce n'erano in Abruzzo, e non giovanotti come noi e scrivevano belle lettere al Mazzini e ne ricevevano bellissime risposte, ma non erano ordinati a setta. *) Le quali parole del Settembrini poco s'intendono, perchè la setta vi era e operava segretamente e costantemente. Se l'insurrezione aquilana fu uno dei moti sporadici dell'Italia meridionale o del Regno di Napoli, non si può dire che i capi non ordissero, come potevan meglio le fila della congiura. Il loro programma era in fondo il programma mazziniano. Si voleva un' Italia libera indipendente, repub­blicana. I rapporti fra i cospiratori aquilani e i settari di altre provinole italiane, non mancarono. Essine avevano fino col negoziante livornese Carlo Emanuele Pizzottì, ed i rapporti stessi erano rivolti non solo ad accrescere il numero dei ribelli, ma a dare all'insurrezione una certa unita, utile per la vittoria, ed in piena armonia col programma che si doveva svolgere. I moti, che si seguirono dopo il 1831 nel Regno di Napoli particolarmente, ebbero per fine apparente la Costituzione ; ma il pen­siero dei capi andava al di là. Domenico de Caesaris, dopo la rivolta di Penne del 1837, esule a Corfu, dove conobbe i fratelli Bandiera e fu loro, per l'impresa a cui si accingevano, largo di aiuto, scriveva alla moglie ch'ei aveva sofferto e soffriva ancora per 1* amata patria, e voleva dire P Italia. Così bisogna credere dei patrioti aquilani.
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A conclusione di questo breve saggio, ci pare conveniente illustrare, per cosi dire, la figura del comandante Tanfano. Egli era andato da Teramo, dove lo troviamo già nel 1837, nella città dell'Aquila il 1840. Non era stato questo il suo desiderio: egli avrebbe voluto, dopo i fatti di Penne, riportarsi a Napoli ed essere consigliere di Stato. Era un uomo ambizioso, come provano i documenti relativi alla rivolta di Penne, capace di offendere oggi, magari dicendo la verità, chi ieri aveva difeso e lodato, nascondendo il vero. I suoi disaccordi col generale Lucchese Palli, regio commissario degli Abruzzi nel 1837, furono deplorati dalle autorità superiori: il Sovrano, che conobbe le sue intenzioni, i suoi desideri di onori, gli fé sapere che il maggiore onore, che un Re poteva concedere ad un suddito, era di averlo al suo servizio. Tolto questo difetto, il Tanfano va ritenuto un funzionario vigile, e ligio al suo dovere, non facile a adem­piersi nel tempo in cui egli viveva.
H suo passato ci è pur noto. Nel 1799, essendosi formati a Napoli alcuni nuclei reazionari e controrivoluzionari, a capo di uno di essi era il Tanfano, chiamato primo clnbista di Ghiaia, da un contemporaneo, il quale soggiunge ch'era uno spilorcio e
J) LUIGI SETTEMBRINI, Ricordanze della mia vita, Morano, Napoli, 1918.