Rassegna storica del Risorgimento

1841 ; AQUILA
anno <1942>   pagina <862>
immagine non disponibile

862 Libri o periodici
interna male e poco legata ai più vasti circoli di scambio, che s'intersecano sai suo proprio terreno, riconducono, senza sforzo. Inattenzione degli uomini del Regno ai beni e ai mali presenti di un sistema amministrativo arrugginito da decrcpit udine, aggro­vigliato dalle parziali, e spesso abusive! riforme introdotte nei secoli, ma fatto, comun­que lìmite e ragion di essere dei più consueti, e, in certo senso, anche profondi moventi dell'azione politica.
Sì che spirito pubblico, o politico, che tn voglia dire, c'è sempre; e sta alio storico l'individuarne carattere, valore, energia di spinta costruttiva. Mentre solo in sede polìtica sarà possibile, mediante la sua comparazione con più alto ideale, riconoscerne l'inadeguatezza ai problemi, che più. propriamente diciamo politici, rinnovare, cioè. la distinzione e concludere, col passionale e sublime giudizio del novatore, del pioniere, del rivoluzionario, a una sua più o men dura condanna.
E strano, ma è cosi. Accade, cioè, che gli studiosi dell'età dell'i liuminismo si lascino trascinare dal linguaggio, dagl'intenti critici, e, in somma, mediatamente, anche dalle utopie dell'epoca, e ne adottino, con i termini, i punti di vista. Questo, a esempio, della formazione dello spirito pubblico, è tipico e squisito problema di quella lette­ratura, nato, senza controversia, in Montesquieu, cercatore del fondamento concreto e originario di ogni regime, e passato, attraverso Filangieri e gli altri napoletani, nella prassi di governo dell'età di transizione dalla monarchia semifeudale a quella ammi­nistrativa, e nella canònica dei suoi storici. Ih realtà, lo spirito pubblico) esiste sempre: anche quando è talmente privatistico, da intaccare e quasi dissolvere l'unità e la centralità dello Stato. La preoccupazione di quegli scrittori al suo riguardo è, in vece, il segno di un più vivo interesse per i valori etici, che esso implica, in contrasto con la pratica del vecchio regalismo, contento di coltivarne, di preferenza, la ragione economica, direi quasi materiale, avvincendo, per essa, i ceti privilegiati alla monarchia, e, per essa, dominandoli.
Una dottrina demolitrice del privilegio non poteva tardare a scoprire quel più saldo fondamento della vita degli Stati, a chiedere, a gran voce, che si promuovesse ove mancasse-- una coscienza civica, sola degna del nome, a esclusione e dispregio della preesistente. Ma allo storico incombe l'obbligo di ricercare la radice di quell'evo­luzione, e dei contrasti e delle deviazioni, che la frenano o disperdono, nello stesso ordine più antico, nei suoi peculiari ed effettivi valori politici, nella fisionomia di aristocrazie realmente direttive, anche se ancora non coincidenti con gli organi ufficiali di governo: come è proprio, del resto, della genesi di ogni rivoluzione.
La nostra riserva metodologica non vuole, tuttavia, infirmare la ricerca del Nico­li ni, tutta tesa verso gli svolgimenti della vita pubblica nella Città di Napoli, e nella sua duplice nobiltà, di titolo e di toga; ma richiamare l'attenzione su un più vasto campo d'indagine, sulla oscura e dissolta vita delle provincie, su quella più serrata, ma non meno isolata, dei borghi e castelli feudali, delle comunità municipali, degli anfibi ceti tra liberi e vassalli, cittadini e rurali portatori di una modesta, pur utile, economia di scambio, ohe, a lor modo avranno anche pensato e voluto nell'ordine collettivo; a riflettere, in somma, con l'acuto spirito scrutatore che fu di un Filangieri e di un Galanti, sulla realtà del Regno, sostegno o debolezza delle avvicendate domi­nazioni come, e forse* nell'apparente passività* più ancora della stessa Città e dei suoi ceti eletti.
Una incapacità di questi ceti al governo autouomo, secondo il Nostro, i'u precipua cagione del cadere del Regno nella soggezione straniera. Mentre a noi pare non si deb* bano trascurare il distacco crescente, già nelle età angioina e aragonese, delle univer­sità, dei vassalli, del clero dalle bisogno civili dell'aristocrazia fendale, la loro mdinV ronza verso la forma e la natura del governo centrale, pur che esito assicuri loro una mano di giustizia contro l'esorbitanza baronale; la necessità di salvare l'indipendenza del paese dalla minacciosa marca ottomana, ingranando il Regno in un più vasto sistema imperiale, che, dopo il fallimento dei tentativi unitari o federativi italiani