Rassegna storica del Risorgimento

1841 ; AQUILA
anno <1942>   pagina <863>
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Libri e periodici 863
del secolo XV, non può essere) sfortuna t a incute, che straniero; e, finalmente, l'assurdo di una resistenza del piccolo corpo di popolazione, e male armato, all'impeto assalitore "delle maggiori monarchie dell'occidente.
Quella incapacità, senza dubbio, il regime viceregale coltivò sino al parossismo, sino a far sorgere, nel popolo, l'idea della impossibilità di una indipendenza, che non fosse garantita da una qualche straniera protezione, Nò il Nicolini nega il graduale formarsi della coscienza autonomistica dopo la rivolta di Masaniello, e, palese alfine, nei patti convenuti dai congiurati di Macchia con la monarchia austriaca. Osserva, giustamente, che quell'autonomismo nobiliare non significava, in fondo, che una perpetuazione della rivolta contro l'esorbitanza del potere viceregale, onde poi si quietò, o risorse, con vario e tempestivo umore, ixelYausiriacantismo.
Pare, l'antonomia, conseguita, senza sforzi, nel 1734, pose problemi e accelerò lo sviluppo di una nuova coscienza nazionale. Che fu, secondo il nostro, prima, opposi* zione della nobiltà all'ingerenza spagnola, rappresentata, a onta di tante belle e buone cose, dallo stesso Tanucci, e poi, nelle delusioni provocate dal governo di Maria Carolina e dell'Acton suo, dissenso sugli orientamenti di politica estera, che, unito alla propa­ganda massonica e giacobina, portò a sempre più nette manifestazioni di francofilia di quanti, nobili o borghesi, avessero già, con i Borboni, assaporato il dolce frutto del comando in funzioni subordinate e burocratiche, e anelavano alla conquista di una più compiuta responsabilità. 'Culminante, quel dissenso, in più palesi forme, e quasi ribelli, quando l'incauto procedere dell'Acton richiamò, con la spedizione del LatoucheTréville, l'intervento francese nel paese, fomite e incuoramento a più aperte manifestazioni.
H disegno del Nicolini è ingegnoso, e, con qualche riserva, convincente. I punti culminanti ne sono documentati dai saggi ora raccolti: quello, in appendice, sulla riconquista ispanoborbonica, che vuol mettere in luce l'assenteismo politico del paese nella decisiva lotta di quell'anno; i due, rispettivamente, sull'abate Cestari e sull'atti­vità politica di Ettore Carata prima del fatale 1799, rivelatori di un dilettantismo giacobino, che Postulata persecuzione delle Giunte fece evolvere in ardente e deciso proposito di rivolta; il più grosso sulla spedizione del Latouche-Tréville, diligentis-simo, ma impari al proposito della chiarificazione del processo storico di formazione della coscienza rivoluzionaria in Napoli; un ultimo sulla missione del Garat a Napoli, che spiega come l'opera di protezione svolta da quel diplomatico a favore dei detenuti politici, e la resistenza del Governo borbonico alle sue pretese, ragionata su sottili principi di diritto, ma in fondo, impolitica, servissero a guadagnare ulteriormente gli animi dei novatori alla Francia, a maturare quell'illusione di forza e di possibilità di redenzione, che doveva di sé dare, nell'anno seguente, sì vivido e sanguinoso fiore di
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ANTONIO LUCARELLI, Il brigantaggio politico del Mezzogiorno d'Italia dopo la seconda restaurazione borbonica (1815~1818): Gaetano Varaarelli e Ciro Annicchiarico: Bari, Giuseppe Laterza Figli, 1942-XX, in 16, pp. 199. L. 20.
Che vi fu di veramente politico nel tardivo brigantaggio di Gaetano Vardarelli e di Ciro Annicehiarieo? Le condizioni generali della lotta politica nel Regno di Napoli, che avevano sino allora permesso a bande e comitive di autentici malfattori, evasi dalle grinfie della giustìzia, di associare la loro peculiare resistenza alle forze di polizia Ila comune reazione di fronte a un ordine politico ritenuto illegittimo, e, a ogni modo, d'importazione straniera e violenta, non erano eessate con la restaurazione borbonica del 1815? Quanto di vero in quello che riferirono storici e contemporanei, dal Pepe al Colletta, al Chureb, al presunto Berthold], di un rinnovato connubio tra settari e scopritori di campagna?