Rassegna storica del Risorgimento

EMILIA ; STATO PONTIFICIO ; GIORNALISMO
anno <1944>   pagina <251>
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Libri e periodici 251
Nel 1858 potò riabbracciare la famìglia che da dieci anni non rivedeva, ina questo ritorno non fu che un inganno di larve menzognere; nuovi eventi politici dovevano strapparlo nuovamente alla città natale, da lai tanto amata anche nella lontananza dell'esilio.
Il tradimento di Villafranca, che gettava Io scoramento nell'animo dei poveri veneti, lo costrinse a riprendere la via del Piemonte, che era divenuto il centro delle rivendicazioni nazionali, cai accorrevano da ogni parte gli emigrati politici. Attivissima fu l'opera da lai svolta durante il suo esilio nella capitale piemontese. Nominato finan­ziere dell'emigrazione nel Comitato politico centrale veneto, grave e di fucile funziono in cui si dovevano aiutare i bisognosi più degni di soccorso e respingere tutti quelli che prendevano falsamente le sembianze di patriottismo, egli assolse l'incarico con fervore, con scrupolo e con coraggio. Non tralasciava tuttavia i suoi studi prediletti: con la pubblicazione di numerosi opuscoli di riconosciuto valore economicosociale combatteva la dominazione austriaca per il suo indegno Governo e sfruttamento nelle Province venete e con eloquenti cifre tratte dai bilanci si proponeva di combat­tere l'errore, che i nemici del nostro Risorgimento diffondevano, che i cittadini italiani fossero più gravati dei veneti.
Nominato deputato al Parlamento nazionale succedendo a Valentino Pasini, morto il 4 aprile del 1864, presentò alla Camera parecchie notevoli relazioni, tra cui quella sul disegno di legge per l'attuazione dell'imposta fondiaria, della ricchezza mobile e del dazio consumo.
Trasferitasi la capitale da Torino a Firenze in seguito alla Convenzione dei 1864, il Menichini, fedéle ai suoi principi monarchici, si portò a Firenze e segui le sorti del Governo: ma nelle elezioni dell'ottobre non fu più rieletto senza però che ne sentisse rammarico, anzi quasi ne fu soddisfatto perchè gli era concesso di condurre a termine il lavoro cui da anni attendeva e che 6 la cosa sua di maggior pregio scientifico, cioè il vasto volume Sulle condizioni finanziarie delle Province italiane soggette all'Austria cui è premesso un saggio sul sistema finanziario austriaco.
Ma la lunga attesa doveva finalmente tradursi nella più radiosa delle realtà. Con la pace di Vienna dell'ottobre del 1866 per il tramite della Francia l'Austria rinun­ciava al Veneto e la bella regione, ricca di pagine di gloria, per voto plebiscitario si univa al Regno d'Italia. Il Meneghini, che aveva non solo caldeggiato ma anche prevista la prossima liberazione (nel 1860 in un suo scritto parlava di imminenza di una nuova e suprema lotta con l'Austria ), toccata la meta della sua fede, rimpatriava semplice e modesto cittadino, come se nulla avesse fatto e sofferto per la Patria, tranquillo e soddisfatto nella coscienza e noncurante se altri avesse dimenticato i tanti suoi meriti. Ma non erano terminati i servigi che egli doveva rendere al suo paese, perchè, con­clusa la porte dell'esule dal luogo natio, cominciava l'opera di cittadino della sua città. Nell'agosto del 1866 venne chiamato a far parte della Deputazione provinciale e poco dopo fa eletto consigliere comunale. Il 3 dicembre su proposta del Re gli veniva partecipata la nomina a sindaco della città di Padova. Sotto il quadriennio della sua amministrazione Padova ebbe miglioramenti molteplici in armonia con il mutato indirizzo dei tempi, ma la massima cura egli volle fosse rivolta al miglioramento igienico, materiali! e morale delle classi meno abbienti. Malaticcio però da tempo, non resse più a lungo olle diuturne fatiche: il 21 novembre del 1870 moriva tra,la Costernazione di tutta la cittadinanza, consapevole di perdere con lui uno dei suoi migliori*
Figura indubbiamente purissima quella del Meneghini, anche se non si riscontra in lui il tipo perfetto dell'uomo politico. Sempre, dal primo all'ultimo momento delia sua vita, fu volto alla grandezza del Paese avviuto verso il grande necessario avvenire né mai dubito della giustizia e della santità della causa a cui si era tutto votato. Per codesta fede, nutrita nel carcere e nell'esilio quasi ventenne, per la dignità del carat­tere, per il profondissimo sentimento del dovere, per la concezione della vita altamente