Rassegna storica del Risorgimento

1848-1849 ; DIPLOMAZIA ; DUE SICILIE (REGNO DELLE) ; SARDEGNA (
anno <1947>   pagina <28>
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28 Guido Qiuizza
nomina dell'inviato, ani conto del quale il re era stato male informato . Il Piazza, pur dicendosi disposto al sacrificio personale, non volle ascoltare la proposta del Collobiano di ripartire subito, poiché contraria agli ordini ricevuti. Perciò spedi al Cariati copia delle credenziali. ') Affatto ce imperito di diplomazia, egli fu costretto ad invocare dal Gioberti, dal Collobiano e dal Balestrino consigli e aiuti nella parte procedurale.
La notte dall'I 1 al 12 ricevette dal Collobiano una nota del Cariati in data 11 sul rifiuto di riceverlo e poi, il 12, una lettera del principe stesso che Io avvertiva di rivolgersi al Collobiano. La questione del mancato riconoscimento si stava com­plicando: il conte, non avendo ancora presentato le ricredenziali, serviva come pedina di manovra al Governo napoletano per sconfessare il Plezza. Si chiariva invece il motivo vero del rifiuto: non tanto l'antipatia del re, mal impressionato sul conto del senatore, quanto l'astio acre contro il ministero Gioberti, che si era definito democratico. Il Plezza si sentiva impotente contro questa ostilità: Io scriveva al Gioberti combatto e combatterò sino al fine in questa difficile crisi colla tranquillità di chi adempie un dovere e dimentica del tutto se stesso per l'utile del paese, ma prego la S. V. IlLma di darmi istruzioni precise e dettagliate.
La situazione napoletana si presentava al diplomatico improvvisato molto triste. Da una parte un ferreo dispotismo militare, dall'altra l'inerzia più assoluta, con cui la popolazione inceppava ogni azione del Governo. Manifestazione di que­st'inerzia era la disobbedienza di alcune province, specialmente degli Abruzzi e della Capitanata, alla chiamata di leva. I partiti di opposizione chiedevano le dimissioni del ministero, e si parlava di un nuovo Gabinetto con a capo il Filan­gieri, il quale avrebbe acconsentito ad applicare più lealmente la costituzione, a distaccarsi interamente dall'Austria, a prender parte alla causa nazionale. Ma queste voci erano dettate più dalla speranza che dalla certezza. La polizia cercava di spingere gli estremisti ad atti disperati per poterli distruggere. Mentre il basso popolo era forse migliore di quanto se ne diceva, il ceto medio era timido e venale, i ricchi tremanti e avviliti. La corruzione era generale: una forza alla quale qui non si fa resistenza è quella dell'oro. L'opera di fortificazione delle piazze, dei moli, degli edifici pubblici, del palazzo reale; l'installazione di cannoni all'angolo di ogni via; l'imprigionamento del direttore e dei redattori d'un giornale d'oppo­sizione. La giovane Italia, uscito la prima volta il 12 gennaio; altri casi frequentis­simi di patenti soprusi mostravano l'assurdità, del regime forzoso vigente nel regno. Inoltre l'esercito stesso, su cui il re fondava tutta la sua forza, veniva carez­zato e favorito al punto che,imbaldanzito per troppe blandizie, avrebbe spinto forse lo stesso Ferdinando più in là di quanto volesse sulla via della reazione.
Ma il punto più oscuro del sistema era costituito dalla situazione finanziaria, che, rovinata sotto il peso della guerra siciliana e da tanti apparecchi di difesa, non trovava rimedio nel credito, di cui il Governo era interamente privo. Il re aveva fatto un prestito di 12 milioni di ducati all'Austria, traendone cinque dalla sua cassa particolare e sette dall'erario pubblico. Per rifarsi dei primi egli esigeva ogni giorno un sopravanzo sui quadri dell'armata, che figurava di 100 mila uomini, mentre in realtà non oltrepassava i 62 mila. Già da due mesi i pensionati non erano pagati e il soldo veniva corrisposto con ritardo agli impiegati. Nessuno voleva affi­dare i propri capitali al Governo prima della riunione delle Camere. Non si
') Plezza, 11 gennaio 1849, n. 3.