Rassegna storica del Risorgimento

AZEGLIO, MASSIMO TAPARELLI D'
anno <1947>   pagina <159>
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COME SONO NATI I MIEI RICORDI
Jvon ni hanno dna Caditi diverti di morale, l'uno pei
governanti, l'altro pai governati; io non eredo die la
ragione di Sialo eia una dispensa alla morata comune*,
M; D'AZKCMO Un CHnitrii, 12 febbriuo 1851*
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In uno dei suoi molti volumi, nei quali, pur col dichiarato intento di lodare qualcuno, o, per Io meno, di narrarne con animo sereno la vita e le gesta, Cesare Cantù dà libero corso ai suoi sentimenti e, più spesso, sfrena i propri risentimenti, l'autore della Stona universale, imbattutosi tra i familiari del Manzoni in Massimo d'Azeglio, non sa nascondere, al di là di una cordialità e benevolenza superficiali, la volontà di tirare qualche frecciata all'indirizzo dell'antico compagno di scampagnate e di bigliardo. Troppo diversi di temperamento e di fortuna, i due, dal 1848 in poi, non s'erano più intesi e il Cantù non esi­tava a ricordarsene un trentennio più tardi C'è un certo senso d'invidia e un accenno a malignità nella descrizione di Massimo scanzonato e disinvolto di fronte alle finezze linguistiche dei letterati lombardi. E noi, che faticavamo la lingua e il periodo, stupivamo al vederlo man­dare al tipografo il primissimo suo getto, e non correggerne sulle bozze che qualche parola, affidando del resto a noi altri quelle seconde cure, che pur sono tanta parte dell'ultima perfezione. E manca di cordialità l'affermazione che l'autore del Fieramosca visse fra trionfi esterni, più che fra dolcezze domestiche, né è privo di ambiguità voluta quanto dice del secondo matrimonio di Ini. Erano i tempi che più frequentavo Manzoni, e perciò il d'Azeglio. Mentre io stavo in carcere, moriva la moglie di Manzoni, poi sua figlia, moglie d'Azeglio. Questi per distrarsi con me liberato venne alla campagna dei Beccaria, e non dimenticherò come, rabbrividendo di quelle prime brezze invernali, esclamò: "Non posso sentirle senza pensare che freddo avrà la mia Giulia là in aperta campagna . Enrico Blondel, fratello della moglie di Manzoni, era morto giovane di dolorosissima malattia, e Luisa Maumari, sua moglie, se n'ac­corò tanto, che tentò avvelenarsi. Ma presto questa zìetta s'intese con Massimo, che andò a sposarla in terra tedesca, essendo essa protestante. Spiacque ad Alessandro; e vieppiù alla nonna tale matrimonio, forse solo perchè precoce, ed io dovetti subire spesso da una parte e dal­l'altra gli sfoghi, e interpormi per la pace, che finalmente si celebrò.1)
ty C. CANTÙ, Alessandro Manzoni. Reminiscenze, Milano, 1882, voi. II, pp. 137-143. Da confrontare con il più lungo saggio dello stesso in Alcuni Italiani contemporanei, Milano, 1868, voi. Il, pp. 389-377.