Rassegna storica del Risorgimento

TOSCANA ; CAPECE MINUTOLO DI CANOSA ANTONIO
anno <1947>   pagina <207>
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Una disavventura del principe di Canosa in Toscana 207
che simili opere non potevano liberamente stamparsi né pubblicarsi a Pisa, ma dovevano trasmettersi per l'approvazione alla Censura centrale) esistente presso la Presidenza del Buon Governo. Di tutto ciò il Puccini, essendo stato dal Viviana il 25 luglio 1817 informato confidenzialmente, a per regola, tanto più che alcuni stampatori pisani s'erano rifiutati d'intraprendere la stampa loro proposta, per timore di rimaner compromessi ma col pretesto di non trovarci il proprio torna conto; si affrettò a rispondere aver trovato savissimo e il contegno tenuto in questo affare e il pensiero di prevenirnelo. Frattanto il Canosa, dopo aver inu­tilmente insistito presso il Magroni, non appagandosi alla protesta di lui che gli scritti politici bisognava fossero approvati dalla Censura centrale, BÌ recò dal governatore; e, poiché questi aveva confermato non esser nelle sue facoltà di secondarne i desiderio, egli fece sapere che subito sarebbe andato a Firenze, per domandare al presidente del Buon Governo l'autorizzazione negatagli a Pisa. Con lettera del 28 successivo il Viviani ne diede notizia al Puccini, pregandolo di assicurare il Canosa ch'era stato regolare il suo operato e derivante da parti­colari ordini e istruzioni relative a simili materie; di sostenere che, quando si trattava di opere le quali potessero interessare la politica dei sovrani e dei loro governi, le autorità locali non avevano facoltà di approvarle, ma dovevano sot­toporle alla censura della Presidenza del Buon Governo come centro di polizia generale dello Stato. Credeva poi utile dargli un'idea del libro in questione, quale gli risultava dall'abboccamento avuto col principe di Canosa. Pareva si propo­nesse principalmente di dimostrare che i sovrani, da trenta o quaranta anni, erano stati mal consigliati ad avvilire il clero e la nobiltà, spogliando tali ceti dei diritti più valutabili, dei feudi, privilegi, ecc., giacché queste due classi di persone rispettabili sono le intermediarie tra il popolo ed il sovrano; deducen­done che nell'ultima rivoluzione ed ancora dopo il termine di essa non s'era veduto né il clero ne la nobiltà in generale sostenere efficacemente il trono, il quale senza tali appoggi crollerà sempre qualunque sia la sua forza e potenza. Il Viviani quindi era rimasto sempre più soddisfatto della sua repulsa: anche da altre parti aveva rilevato che si esponevano materie assai delicate, per cui doveva temere di restar facilmente compromesso. Il caso presente l'aveva fatto deter­minare a prescrivere ai censori che, venendo presentate alla revisione opere trat­tanti ex professo di polìtica o contenenti cose atte ad offerndere le corti e i governi stranieri, ne ricusassero l'approvazione e comunicassero a lui i manoscritti, che li avrebbe trasmessi al Buon Governo.
Con altra lettera del medesimo giorno informava essere imminente l'arrivo a Firenze del Canosa, il quale vi porterebbe il suo lavoro con la speranza di farlo approvare dai censori della capitale, del che egli dubitava assai. Ripeteva le istruzioni date ai censori di Pisa. Aveva detto ad essi che quelle disposizioni non erano recenti e non le aveva partecipate per semplice dimenticanza. Lo stesso aveva dichiarato al Canosa, cui doveva esser molto rincresciuta la sospensione della stampa della sua opera, e conveniva che anche il Puccini lo confermasse, poiché egli s'era fisso in testa provenire tal misura dalla premure fatte al Go­verno toscano da quello di Napoli.
J3 aggiungeva il 21 agosto ohe, sebbene dalle note mensili degli stampatori pisani comparisse aver Sebastiano Nistri sotto il torchio lo scritto del Canosa, egli rassicurava non essere state impresse che poche pagine di parte del manoscritto, stata già approvata dal Magroni. Dopo però le istruzioni da lui date, tutto era