Rassegna storica del Risorgimento

BELGIO ; PELLICO SILVIO
anno <1947>   pagina <216>
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Mario Bauistiiti
colline di Torino, vicino a Moncalicri, presso una gentile signora francese, la mar­chesa di Barolo, nata Colbert, venerata per la sua beneficenza illuminata e per la sua attiva carità, la quale ha aperto al poeta un onorato asilo. Un profumo di religione sembra avvolgere questa dimora. All'entrata della vigna, sopra un por­tico agreste, sono dipinti due angeli col motto IN SPE; sotto il portico, ai due lati due affreschi rappresentano, l'uno il ritorno degli inviati da Moaè ad esplo­rare la terra promessa, portanti il grappolo di Canaan col versetto: Absciderunt palmitem cum uva sua quem portavemnt duo viri, e l'altro rappresentante Ruth che spigola nel campo di Booz e le parole: Audi, filial ubi messuerint, sequere. La piccola cappella della vigna ornata di lavori usciti dalle mani della signora de Boral, ispira una commovente venerazione, specialmente quando la si visita e vi si prega con Silvio Pellico, il collaboratore, il confidente dei pii pensieri e delle ottime opere di questa donna perfetta. Le persone entusiaste che immaginano il poeta con la testa come Chateaubriand, il collo di Byron, il portamento di La-mar tine, proverebbero una delusione, vedendo Silvio Pellico. Piccolo, pallido, d'aspetto sofferente, e malgrado l'ampiezza della fronte, lo sguardo nascosto, spento dietro gli occhiali; pero le sue maniere sono vive, rapide piene di grazia. Lo spirito supplisce in lui, alla debolezza del corpo e presto non si vede, non si vede che quello. Il cristianesimo di Silvio Pellico non è solamente quello d'un poeta e d'un uomo sensibile, ma anche quello d'un erudito e di un logico. Conosce i migliori apologisti della religione e la storia della Chiesa. La conversazione aven­doci condotto a parlare di quanto dice il Rousseau: e la philosophie ne peut faire aucun bien que la religion ne le f asse eucore mieux, et que la religion en fait beau-coup que la philosophie ne saurait faire, parlammo della tolleranza. Citai il gesto di San Gregorio papa, che fece rendere agli ebrei [di Cagliari, dal vescovo Gennaro, la sinagoga che uno di quelli, convertitosi al cristianesimo, aveva trasformato in chiesa, e Silvio Pellico aggiunse a ciò qualche particolarità sfuggitami leggendo le lettere di S. Gregorio. Parlò con entusiasmo e senno della storia di Gregorio VII, riguardato da lui come un santo pieno di coraggio e di genio e lodò con entusiamo la storia d'Innocenzo III, del Hurter.
Le abitudini religiose di mia moglie, ch'era meco, mi permisero di conoscere alcune delle pratiche di pietà del Pellico. Essa l'aveva consultato sull'acquisto .d'alcuni libri religiosi che avevo visti indicati nel catalogo de' fratelli Giannini e Fiore di Torino, ed il Pellico ci confidò che, educato da una madre cristiana e francese, i suoi libri religiosi, eccettuata L'Imitazione che leggeva in latino, erano in francese, e che egli impiegava la Journée du chrétien, le Délices des àmes picuses, e specialmente gli scritti del gran maestro della vita spirituale, S. Francesco di Sales, che, il più spesso, un solo versetto della S. Scrittura o il Pater Noater basta­vano alle sue meditazioni, che il carcere l'aveva abituato a ricorrere piuttosto alla preghiera che alla lettura.
L'incontro con Silvio Pellico è rimasto nel mio cuore, come un ricordo d'una apparizione celeste; qualche cosa di più; elevato della letteratura, della poesia stessa, esalava da quest'uomo. L'amicizia che mi accordò, le ultime parole che mi disse sano divenute per me un vincolo: eccezionale, solenne, sacro, perchè queste parole furono: È in Dio che dobbiamo amarci..
L'annunzio della morte di S. Pellico, fortunatamente smentita, venne per un momento ad aggiungersi al devoto ricordo per lui. Egli mi aveva scritto qual­che settimana prima una lettera nella quale esprimeva una speciale stima per