Rassegna storica del Risorgimento
"SICILIA (LA) NEL RISORGIMENTO ITALIANO"; GIORNALISMO
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1947
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268 Libri e periodici
meridionale fosse o inesistente o insolubile, come questo derivasse da OSA tipica speculazione politicosociale di intellettuali legati alla conservazione sociale e a quell'accentramento stotale che favoriva l'alleanza tra industriali del nord e agrari del sud. In realtà ogni testimonianza favorevole al progresso sociale meridionale e ogni testimonianza che credeva a questo progresso in apposizione alle geremiadi pessimistiche al cento per cento di un Giustino Fortunato batteva sul tasto della necessità di risolvere la questione su un piano politico innanzi tutto: non esiste un determinismo razziale nel Meridione, si diceva (si pensi alle pagine di Salvemini), è stata invece nna politica retrograda che ha avvilito i meridionali; non esiste ancora un determinismo climatico: anche se il meridione non è favorito dalla natura, molto ancora c'è da fare: ad esempio, bonificando le vallate dei fiumi e le zone costiere, si darà al lavoro della terra fertilissima. Quanto al latifondo e necessario però studiare con coscienza la costituzione geologica del terreno: in tal modo si evita di frazionare eccessivamente alcuni terreni ; data la povertà del terreno del latifondo e data la scarsezza di mezzi del contadino, tutto diverrebbe un lavoro di Sisifo: ed ecco la necessità di risolvere il problema cooperativisticamente (cfr. la soluzione proposta da Filippo Turati).
Una revisione agraria però nel Meridionale si doveva basare, come avvertiva fin dalla fine dell'altro secolo F. S. Nitti, su una politica di perequazione tributaria. Difatti come scriveva nel 1898 il De Viti De Marco: pel Mezzogiorno il Comune è lo Stato. Ma il contenuto, le ragioni remote del malcontento sono le stesse. È reazione immediata contro l'eccessivo carico tributario e l'iniqua ripartizione delle imposte, che hanno a loro turno cause più remote nei privilegi mascherati del protezionismo e in quelli manifesti di un'immensa macchina militare e burocratica, che richiama, assorbisce, immobilizza e rende sterili e parassitarie grandi e numerose energie.
Ed ecco, anche contro un'emigrazione spesso innaturale (perchè fuggiva dall'Italia anche gente necessaria al lavoro delle terre meridionali: chi non ricorda il grido d'allarme del Villari?) le necessità di dare al Meridione la possibilità di risolvere da sé alcuni problemi amministrativi e tributari, ecco la necessità di dare al Mezzogiorno un'autonomia regionale che spezzi l'alleanza della borghesia capitalistica del nord con la borghesia feudale del sud, che dia ai meridionali la possibilità finanziaria e sociale di risolvere nel loro interesse e su nuove basi il problema: una battaglia di progresso che vide vicine tutte le forze enticonservatrici dal popolarismo di Sturzo al comunismo di Gramsci.
MASSIMO PETROCCHI
GIULIO CÀPBIN, L'esule fortunato, Antonio Punisti', Firenze, Vallecchi, s. a. (ma 1946), in 8, pp. XII-404. L. 300.
Uno studio sul Panizzi, figura tra le più singolari della nostra emigrazione era veramente necessario in Italia. Strana situazione della nostra*storiografia risorgimcntistica, che per alcune figure notevoli, non escluso il Mazzini, ci obbliga a ricorrere, per notizie, ad autojn inglesi. Per il Panizzi il fenomeno è, naturalmente, più spiegabile data la sua posizione non solo di naturalizzato inglese, ma dì funzionario eminente di quella amministrazione statale. Per queste ragioni ci siamo accinti con gronde interesse alla lettura di questo volume, che avrebbe dovuto darci* orifctio non do uno storico di professione (e bisogna riconoscere che questi ultimi non sempre scrivono leggibilmente), una biografia viva, sul tipo di quelle che tonto egregiamente si sanno fare in Francia. Ma, in parte, la nostra aspettativa è stata delusa. La figura e l'azione del Panizzi risultano soramewe nella storia generale. Se possiamo comprenderne lo necessità per l'ultimo periodo