Rassegna storica del Risorgimento

CAVOUR, CAMILLO BENSO DI
anno <1948>   pagina <117>
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Libri e periodici 117
difficoltà di trarre dalla congerie dei materiali un filo conduttore e uno spirito anima­tore che articolino e vivifichino gli schemi narrativi altrimenti destinati ad unpesante e sciatto scolasticismo.
Occorre dire che il Tremelloni ha molto abilmente doppiato questi scogli, va­gliando la serie delle vicende dell'industria alla luce di un giudizio squisitamente economico che sa anche allargarsi a tutto il quadro del moto produttivo.
Tutta l'opera è appunto vigilata dalla competenza tecnica dell' economista e, se un difetto può notarsi, è soltanto quello che essa talora prevale sull'interesse politico-sociale del fenomeno produttivo che pur ha tanti lati cosi nuovi e suggestivi. Primo di un'opera in tre libri, il volume si spinge fino alle soglie dell'Unita, al 1861, e si articola in periodi scelti con criteri economici.
La situazione di inerzia politica, economica e morale dell'Italia settecentesca, non rischiarata dalla grande alba europea della rivoluzione industriale, è analizzata dal Tremelloni senza indulgere neppur minimamente alla agiografia patriottarda di tanti storici esaltatori dell'assolutismo illuminato come di un momento creativo nel moto risorgimentale. Lentezza di comunicazioni, scarsità di scambi, povertà di mercati, durezza di imposte, altezza di dogane, stanchezza e debolezza di forza spirituale e di energie fisiche, singolare fiacchezza di tutte le classi sociali: ecco le cause del languore economico italiano. Si aggiungano a questo la ritrosia a impiegar capitali in altro che non fosse la sicura rendita terriera, la necessità di adoprare più braccia che macchine, la mancanza di operai specializzati che non fossero stranieri, lo sgretolamento delle istituzioni corporative che avevano difeso i diritti dei lavoratori per tanti secoli.
La tormenta napoleonica scuote e in parte sconvolge queste acque stagnanti. Fra urti, contrasti, coartazioni, l'industria italiana si fa le prime ossa, inserendosi nella vicenda europea. Nascono, durante il blocco continentale, nuove esigenze e quindi ai compiono tentativi in nuove direzioni. Mutano le vie dei traffici tradizionali) si anima lo spirito nazionale infiacchito da secoli di decadenza e di provincialismo. La spietata concorrenza francese non impedisce l'immigrazione di capitati stranieri e un certo rinvigorimento del credito e un parziale aumento delle riforme finanziarie e della dispo­nibilità di tecnici. Dalla fase artigiana si passa ai bureaux de commandes. cioè al sistema di raccolta e di distribuzione del lavoro da parte dei mercanti imprenditori, che prean­nunciano i veri capitani di industria, pur fondandosi ancora sul lavoro a domicilio. Milano e la Lombardia diventano il mercato europeo della seta; il Biellese, il Berga­masco, il Vicentino, il Pratese acquistano forma di centri delle manifatture tessili, cardine della produzione industriale italiana.
Il congresso di Vienna impone alla Penisola la cappa opprimente delle divisioni statali, delle barriere doganali, della soggezione economica all'Austria. L'industria serica continua ad essere la principale, ma un generale ristagno impedisce nuovi svi­luppi all'economia italiana. Soltanto dopo il 1830-31, por rimanendo gravi gli ostacoli ad una vera rivoluzione industriale, il processo evolutivo sembra prendere un ritmo più rapido. La trasformazione costa enormemente, poiché si perdono quasi all'improv­viso il complesso delle capacità artigianali, accumulate in tanti secoli, i vantaggi delle localizzazioni antiche, i vecchi sistemi di comunicazione. Aumenta la popolazione in densità da 63,2 a 84,9 abitanti per kmq. e si formano i grossi centri urbani, mentre ai accentua l'impronta agricola dell'impalcatura produttiva italiana col rialzo del valore dei fondi, l'allargarsi dei consumi, il perfezionarsi della tecnica. Da ciò derivo lo spe­ciale carattere della nostra industria, che appare ai contemporanei come complemen­tare dcll'agricoltura unica e vera ricchezza d'Italia. Dell'agricoltore conservano la mentalità gli imprenditori, diffidenti verso l'impiego non sten rissimo dei capitali e verso l'uso delle macchine, non allettati da una forte domanda, che la limitatezza dei mercati separati, la povertà dei consumi individuali e la scarsa consistenza delle speso pubbliche impediscono. I risparmi tendono ancoro alla tesaurizzazione e in ogni caso non un'impiego industriale. Diffusissimi sono i pregiudizi contro la carta monetaria,