Rassegna storica del Risorgimento
MONDAINI GENNARO
anno
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1948
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pagina
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274
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274 Libri e periodici
RUGGERO MOSCATI, Ferdinando II di Borbone nei documenti diplomatici austriaci; Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 1947, pp. 189. L. 380.
Lavoro pregevolissimo: di organica struttura e condotto con coscienziosa serietà dell'indagine.
La figura di Ferdinando II, come ognun sa, è ancora oggidì tra le più discusse. Sull'aspro giudizio pronunciato su di lui dalla storiografia liberale del nostro Risorgi* mento (giudizio che è sovente ripetuto) ha infinito grandemente il contrasto tra i primi anni del suo regno, che suscitarono un coro di entusiasmi e accesero irrequiete speranze, e di atteggiamenti successivi, improntati a tendenze a mano a mano sempre più assolutistiche; contrasto in verità, però, solo apparente (come felicemente nota il Moscati) perchè Ferdinando II tese dapprima, sì, verso un sistema di moderazione ma unicamente per fronteggiare la grave situazione interna lasciatagli in eredità dai suoi predecessori, non già perchè egli fosse animato dal proposito di largheggiare in concessioni e tanto meno (anche a questo si pensò!) di porsi a capo di un movimento nazionale.
In una famosa circolare, che ebbe larga diffusione anche all'estero, il re stesso chiari più tardi il suo immutabile programma di governo. Dedicando le Bue cure maggiori all'esercito, sforzandosi di risollevarne lo spirito militare, portando le più strette economie nelle finanze, dando incoraggiamenti all'agricoltura, all'industria e al commercio egli mirava a sanare le ce profonde ferite (son sue parole) cagionate dai vaneggiamenti di pochi e a ridare al suo popolo tranquillità calma e sicura , ma non aveva nel frattempo peraltro mai tralasciato di vegliare sugli attentati dei rivoluzionari onde troncare, anzi prevenire, le loro occulte trame, decisamente determinato a conservare intatte nella integrità loro le monarchiche istituzioni del suo Regno.... Segnatamente il richiamo in servizio degli antichi ufficiali destituiti fu a torto interpretato come la manifestazione di un idillio con i liberali; a torto, perchè appunto con tale provvedimento il re cercava di annullare le ultime tracce delle tradizioni murat-tìane tuttora persistenti nell'esercito per preparare in definitiva (come acutamente osservò il De Mazade) la rottura fra lo spirito militare e le tendenze costituzionali, le due forze dalla cui alleanza era sorta la rivoluzione del 1820.
Ma se l'ideale politico di Ferdinando TL fu quello invero ben meschino e retrivo di uno staterello quietistico e neutrale, desideroso di non spingersi, per nessun motivo, oltre i suoi confini tra l'acqua salata e l'acqua benedetta, bisogna però convenire (e la cosa fu già giustamente rilevata dal Croce) che nel difendere questo stato dalle altrui ingerenze egli die prove molteplici di tenacia, di dignità, di fierezza. Sui rapporti del Sovrano con le potenze straniere possediamo alcuni studi particolari ragguardevoli; ma è merito grande del Moscati di offrirci ora, sulla scorta di preziosi ragguagli di diplomatici austriaci, una storia succosa ma precisa della politica estera di Ferdinando H che è indubbiamente fondamentale per una revisione critica del governo borbonico nel Mezzogiorno d'Italia. Poiché non è possibile seguire passo passo l'A. nella minuta trama del suo lavoro, mi accontenterò di accennare qui brevemente a alcuni punti che, a mio giudizio, rivestono maggiore importanza.
Noti sono le origini e lo sviluppo della vertenza degli zolfi e note son pure le ragioni svolte dal Cassero a sostegno della sua tesi; ma ben poco noto invece è il discorso del re che VA. ha rinvenuto in appendice ad un rapporto del Lebzeltern, alla luce del quale appaiono chiare lo ragioni che determinarono le successive mosse del governo napoletano. Il re, cioè, in un primo momento non credette che l'Inghilterra fosse disposta a mettere in esecuzione le sue minacce, poi sperò in un tempestivo intervento delle grandi potenze, interessate ad allontanare i pericoli di un conflitto anglo-napoletano; da ultimo, dinnanzi al diritto del più forte, fu costretto a cederò e ad accettare la mediazione di Luigi Filippo. Ma quel che giova soprattutto rilevare è che la disgrazia del Caasaro (alle dimissioni segui presto l'allontanamento dalla capitale e il confino