Rassegna storica del Risorgimento

MONDAINI GENNARO
anno <1948>   pagina <276>
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276 LibH e periodici
di ravvedimento). Ma don Giustino Fortunato non se ne diede per inteso, giacché evidentemente non annette importanza eccessiva alla cosa; e come non aveva avver­tito il re delle informazioni ebrea i propositi di Gladstone avute dal Castelcicala, così non credè opportuno metterlo al corrente del passo fatto da Aberdeen presso la corte di Vienna. In presenza dell'inconcepibile silenzio delle sfere governative napoletane Gladstone ruppe gli indugi, e della sua pubblicazione si valse Pabnerston che il 7 agosto 1851 alla Camera dei Comuni ebbe parole assai aspre nei confronti del governo di Ferdinanda II.
La pubblicazione delle lettere di Gladstone ebbe come conseguenza immediata la caduta in disgrazia di Giustino Fortunato e del segretario particolare del re; ma nel governo di Napoli si ebbe una svolta decisiva: Ferdinando accentrò maggiormente in sé la somma del potere e divenne a mano a mano il padrone assoluto* il dittatore.
Sugli ultimi anni del suo regno (anni grigi, di una calma apparente fittizia couvant la tempéte , come confessava lo stesso Garafa) il Moscati scrive alcune pagine interessantissime, di cui spiace non poter dar qui che un rapido cenno. Le vel­leità d'azione si manifestano talvolta ancora a Napoli, ma vengono meno se si tratta di passare all'azione vera e propria. Le basi della condotta del governo sono principal­mente ora, un'estrema circospezione, la paura di compromettere, contraendo impegni, la propria indipendenza e libertà di movimento, la riluttanza ad uscire da un atteg­giamento passivo e ad agire con energia. Basterà ricordare, tra l'altro, la tensione eoo il Piemonte nel 1857. H re fu dapprima d'accordo con l'Austria che occorrevano misure forti, che bisognava si unissero tutti gli stati italiani per un passo collettivo che costrìn­gesse ima volta tanto la Sardegna ad una condotta rassicurante, perchè non vi sarebbe stata pace nella penisola finché non fossero cessati gli incoraggiamenti del governo sardo a tutti a ribelli. Ma all'atto pratico il re non ritenne opportuno compromettere, con una rottura diplomatica con il Piemonte, hi propria posizione a Londra e a Parigi e si accontentò di rechimi contro la libertà eccessiva concessa in Sardegna agli esuli meridionali, di rimostranze contro gli eccessi della stampa, di insinuazioni contro l'in­sufficienza della polizia sorda che chiudeva gli occhi sulla partenza di Pisacane da Ge­nova. E l'anno successivo, nella spinosa vertenza del Cagliari, in un primo momento, seguendo i consigli dell'Austria, con un diverso trattamento fatto ai sudditi britannici nei confronti di quelli sardi compromessi nella cattura del piroscafo, il governo napo­letano riuscì a separare l'interesse di Londra da quello di Torino; ma la diplomazia sarda riprese tosto il sopravvento, si riagganciò a Londra e riuscì ad ottenerne l'appog­gio e a costringere Napoli alla resa. Contrastano invero in quegli anni con lo squallore politico e intellettuale, che preannuncia l'imminente catastrofe, i segni di netta ri­presa economica; ma in sostanza Io Stato è virtualmente condannato olla scomparsa: le forze politicamente vive del Paese, negli ergastoli o in esilio, gravitano da tempo nell'orbita nuova. Anche i diplomatici austriaci, pur mettendo in rilievo l'interessa­mento del governo per i problemi del traffico, dei lavori pubblici e della valorizzazione dell'agricoltura, pare ai rendano conto della realtà. Cosa vuol dire la progressiva secchezza dei loro rapporti su Napoli, si chiede a ragione il Moscati, se non il progres­sivo svuotarli di ogni contenuto politico della vita stessa del Regno?...
L'ultima aspirazione dal re prima di chiudere gli occhi per sempre fu che il suo regno dietro alla muraglia di Tarlarla fosse addirittura dimenìi caio dalle cancelle­rie europee. E alla vigilia del '59, già avviato olla morte, l'unica sua preoccupazione fu di far conoscere a tutti il suo desiderio e la sua volontà. L'idea del congresso, messo innanzi dalla Russia, fu accòliti da lui con diffidenza e con scetticismo; e quando il Buoi, il 28 marzo 1859, telegrafò al Martini la sua protesta contro l'ammissione al con­gresso, con il solo voto consultivo, dei delegati italiani, la risposta del re fu che egli non riconosceva ad alcuna potenza il diritto di chiamare olla sbarra uno stato indi­pendente . MARINO CIHÀVEGNÀ