Rassegna storica del Risorgimento

MONDAINI GENNARO
anno <1948>   pagina <277>
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Libri e periodici 277
CORRADO DE BUSE, Mire francesi su la Liguria e la Sardegna negli anni 1860-1861; Firenze, Le Mounier, 1947, in 8, pagg. 179. L. 220.
L'appetito, si sa, viene mangiando. Che, quindi, la Francia, oltre Nizza e la Savoia, tendesse alla cessione, da parte dell'Italia, di territori sui quali già in prece­denza aveva esercitato il dominio (Liguria), o verso i quali, pure in precedenza, aveva volti gli sguardi (Sardegna), come compenso dell'aiuto offerto al Piemonte e per contro­bilanciare l'espansione del nnovo Regno, non è cosa che può destar troppa meraviglia. E il De Biase, in questo libro, ce io rivela, anche se, per dimostrarlo, ricorre principal­mente alla stampa quotidiana, periodica e d'occasione, senza offrirci alcun documento ove appaiano concrete iniziative in tal senso. Dobbiamo, però, osservare che dalle sue pagine risulta più chiaramente e diffusamente la preoccupazione dell'Italia di dover perdere o cedere quei territori, che non le mire della Francia di occuparli. Il che si spiega quando si pensi che il partito mazziniano, da un lato, e le forze conservatrici e clericali, dall'altro, risultavano, nell'azione di mettere avanti un pericolo del genere, coincidenti, perchè, per il primo, esso serviva a screditare l'iniziativa regia e ad osta­colare l'odiato aiuto francese, e, per le seconde, creava preoccupazioni nell'avversario e distraeva gli sguardi da Roma.
Che voci simili fossero, poi, accolte dalla stampa austriaca, nonché da uomini politici e dalla stampa inglese, è pure evidente in quanto servivano a neutralizzare l'influenza francese in Italia.
Questi aspetti, che mostrano il gioco della politica interna ed estera, l'autore avrebbe fatto meglio a mettere in maggiore evidenza.
Il libro del De Biase, condotto principalmente su fonti edite, si giova, come abbiamo detto, in larga misura della stampa. Con l'esame di questa, tra l'altro, l'autore riesce a darei una visione, sia pure rapida, delle difficoltà e delle ansie tra le quali si dibatteva agli inizi la vita italiana. E bello, però, constatare come le voci e le preoccu­pazioni di eventuali cessioni avessero per effetto di rinsaldare i legami unitari tra le diverse regioni e mettessero a tacere, in Sardegna, alcune tendenze autonomistiche.
Scritte in uno stile disinvolto, le pagine del De Biase si lasciano leggere con facilità ed interesse, ENZO PigaTBLLI
GIULIANO GAETA, Trieste ed il colonialismo italiano; Trieste, Edizioni Delfino, 1943, in 8, pp. 80. L. 25.
Già l'Alberti aveva messo in evidenza la viva partecipazione dell'opinione pub­blica triestina all'impresa di Libia, interpretandola come autodisciplina dell'irre­dentismo , il cui senso di responsabilità avvertiva che la soluzione del problema adriatico non poteva essere ottenuta con una singolare tenzone tra l'Italia e l'Austria, ma solo come conseguenza dì ima trasformazione europea, che poteva iniziarsi colla disgregazione dell'impero ottomano. Ma più che autodisciplina di un irredentismo in posizione d'attesa, proprio quest'agitarsi d'idee per le questioni coloniali ci pare la più genuina espressione dell'irredentismo. E ci siamo in ciò persuasi dopo di aver letto Trieste e il colonialismo''italiano, che Giuliano Gaeta, reduce dal fronte orien­tale, ha scritto durante un breve ma fecondo periodo di riposo e testé pubblicato in una nitida edizione.
Già in Trieste durante la guerra mondiale il Gaeta riportava un brano del Mitocchi, tratto da un libro stampato a Graz nel 1917, nel quale è detto che la canzone di Tripoli come lo Sottoscrizione prò famiglie degli italiani feriti e caduti nella guerra d'Africa erano irritanti manifestazioni d'irredentismo. Corto è che cantando: A Tripoli i turchi non regnano più. Il nostro vessillo issato è lassù..., gli irredenti guardavano a San Giusto. Erano cosi accomunati in una sola causa l'irrcdontismo ed il colonialismo. Con sensibilità ussai più profonda di M. R. Inumani, che alla Camera
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