Rassegna storica del Risorgimento

AZEGLIO, MASSIMO TAPARELLI D'
anno <1949>   pagina <57>
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Massimo d'Azeglio tra palcoscenico e platea 57
pur sempre gli altri due ostacoli, della mancanza d'attori e della lingua. Quest'ultimo più grave della deficienza d'attori, perchè senza lingua viva, generalmente accettata, non si scrive dialogo in prosa. Ora, non essendovi lingua viva, lingua accettabile che in Toscana, a loro, signori Toscani! Tocca a loro scrivere per il teatro e ad occu­parsi del suo risorgimento. Dal quale poteva ricavare grande aiuto quello morale della nazione, cui avrebbe dovuto insegnare ce la fortezza, la generosità, il sacrificio, e tutto quanto è compreso nel bello morale. Perchè et finché in Italia non saranno messi di forti e grandi caratteri, è follia l'immaginarsi di essere una forte e grande nazione. Colla canapa fradicia concludeva ottantasettc anni fa il suo sfogo al Martini non si fa un canapo potente, uè con carni corrotte una vivanda salubre.
Ad un fine politicomorale mirano evidentemente anche le scarse scene super­stiti della commedia Autopsie che, impaginate fin dal maggio 1946, usciranno quando che sia per la prima volta presso una casa editrice di Roma, et Non da stamparsi, né da recitarsi, ammonisce l'autore fin dalla prima pagina dell'autografo, conservato nel Museo Centrale del Risorgimento a Roma, ma fatta per ridere un momento delle sciocchezze, miserie e mariuolerie che ci attorniano . Ridere un momento, che è, poi, sorridere; poiché anche all'Azeglio si sarebbe potuta attribuire la risposta moitié bon-ton moitié bori sens della saggezza centenaria del Fontanelle: Vous n'avez donc jamais ri, Monsieur de Fontanelle? Jamais ri? Il faut s'entendre. Je n'ai jamais fait: Ah! Ah! Ah!.
Della commedia, che avrebbe dovuto essere in cinque atti, non rimangono, ver­gate dalla caratteristica scrittura che, pur ben conosciuta, ha fatto prendere tanti equivoci al buon Matteo Ricci, se non quindici scene del primo atto e una rapida caratterizzazione dei vari personaggi. Ma anche questo frammento, insufficiente per darci una compiuta idea di quello che avrebbe dovuto essere l'intero lavoro, è bastevole per mettere in rilievo la esperta vivacità del dialogo e la notevole abilità di sceneggiatore dell'Azeglio. Ed è davvero un peccato che il vade retro del burbero Vestii (rafforzato questa volta dalla convinzione che la censura austriaca o paesana non avrebbe mai consentito la rappresentazione o la pubblicazione della commedia) abbia persuaso l'autore a interrompere l'opera.
L'azione si svolge in un indefinito Stato italiano, retto da un Giacomo IV, del quale non sappiamo se non che l'Azeglio l'aveva ideato come una buon uomo, debole e piuttosto ciuco, e, a giudicare dai ritratti elencati nella didascalia iniziale, al tempo di Gregorio XVI e delle avventure carliste. È vero che l'ambiente e i personaggi ci fanno pensare al Piemonte, ma non al punto di indurci sicuramente a identificare S. A. R. Giacomo IV con Carlo Alberto, sebbene.!'Azeglio non abbia mai nutrito troppa simpatia per il successore di Carlo Felice. Da quel che è dato arguire dalle poche scene in nostro possesso (e non c'è da credere che ne siano state scritte altre) la commedia avrebbe dovuto mostrarci la lotta tra il partito retrogrado e il liberale attorno al sovrano, lotta condotta fino allo scoppio drammatico di un moto rivoluzionario ad opera di agenti provocatori, guidati da reazionari e gesuiti. Nella vicenda politica si sarebbe poi inserita quella passionale del conte Piero di San Felice, il quale, dopo essere stato, in altri tempi, l'amico., o l'amante della duchessa Ernest-ina da Campo San Piero, doveva riapparirle avanti agli occhi col finto nome di capitano Arialdi, in vesto di liberale mazziniano, di passioni bollenti, animo retto, intelligenza elevata. E, nello scontro tra i due partiti, si sarebbero dovute precisare le vario tendenze dei liberali di buon cuore e arguti come il duca di Campo San Piero, furibondi come Canone Bruzio, rabbiosi di non essere conti come l'avvocato Arcadori, esaltati come la