Rassegna storica del Risorgimento

BELGIO
anno <1949>   pagina <207>
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LIBRI E PERIODICI
MICHELE FEDEBICO SCIACCA, La filosofia nell'età del Risorgimelo; Milano, Vallardi, 1948, in 8, pp. 465. S. p.
Dal titolo stesso del libro e Io svolgimento sembra poi confermarlo si può dedurre facilmente il fine dello Sciacca di esaminare il pensiero filosofico italiano dal secolo XVIII in poi, riferendosi non ad astratti limiti cronologici, ma alla situazione storico-politica italiana nei suoi successivi sviluppi, col risultato di dare a tutto il lavoro ima maggiore concretezza, certo non nuova oggi dopo i continui richiami cro­ciani alla unità di storia e filosofia, al rapporto intimo tra teoresi e prassi, alla a cir­colarità dello spirito, ma pur sempre notevole ed apprezzabile quando sia frutto come è il caso di elaborazione e travaglio propri e non fredda applicazione di formule altrui.
Lo Sciacca prende le mosse dal secolo XVlIl mettendolo giustamente in rela­zione col secolo precedente, col secolo cioè della scienza sperimentale di Galileo, Ba­cone, Copernico, Keplero, Newton, del razionalismo cartesiano e del giusnaturalismo di Grozio. Tale relazione, anzi, avrebbe potuto essere maggiormente approfondita poiché il '600 ed il '700 effettivamente formano un'unità culturale alla maniera del '400 e del '500, nel senso che tanto nel '500 che nel '700 sono portati a compimento movimenti già iniziati e chiaramente delineati nei secoli immediatamente precedenti. Recentemente un acuto studioso dell'Illuminismo, il Cassirer, ha parlato per il '600 di razionalismo statico e per il '700 di razionalismo dinamico, ma l'affermazione, nata dall'intento di difendere il '700 dall'accusa di antistoricismo (intento comune anche ad altri storiografi, tedeschi tra cui ultimo il Mcinecke) non può che avere un valore approssimativo. Anche lo Sciacca parla dell'antistoricismo del '700 affermando però essere rilluminismo antistoricista verso il passato ma storicista verso il futuro. Ci sembra invero che questo movimento sia la precisa antitesi dello storicismo proprio per quell'idea del a progresso, per quella coscienza della propria superiorità sugli antichi che nella stessa formulazione o quasi andrà da Bruno (I veri saggi siamo noi), Fontenelle, Perrault fino al nostro Leopardi giovinetto ( Saggio sugli errori popolari degli antichi) e che ai suoi inizi non potrà essere che polemica e irri­spettosa verso il passato. Il che, invero, è ammesso anche dallo Sciacca, ma la sua distinzione tra storicismo verso il passato e storicismo verso il futuro ci sembra possa solo ingenerare qualche grosso equivoco o, nel migliore dei casi, rischiare di trasformare una questione sostanziale in una disputa terminologica. E, per restare nell'IUumi* nismo, se è esatto dire che per i riformatori la massa è gregge sciocco e zotico che u le riforme non sono richieste dalla massa dei sudditi (p. 34), dedurne poi che il liberalismo e la democrazia posteriori continueranno nella serie delle concessioni e delle riforme di cui il popolo, almeno in alcuni paesi non sentiva il bisogno: pioggia, dal­l'alto di libertà, por le quali era assolutamente immaturo, ed in possesso delle quali diventava pericoloso, che ce ancora oggi le cose non stanno diversamente (p. 34), ' sembra in verità assolutamente inesatto ed ingiusto. Che il popolo non fosse maturo per godere di alcune libertà è tato sempre un vecchio motivo reazionario ricorrente più o meno nella pubblicistica di tutti i tempi. Credere di poter fissare do parte degli intellettuali o da parte di qualsiasi altro il limite di libertà da poter concedere al popolo ci sembra proprio un residuo di mentalità illuministica e paternalistica. È bensì vero che talune riforme, talune libertà giunsero non richieste dalle masse o da una parte almeno di esse (basta pensare all'abolizione della schiavitù, in America), ma compito degli intellctt uali e dell'elite di una classe è proprio quello di rendere la massa cosciente dei motivi ancora allo stato latente, di svegliare nello sfruttato il senso della dignità