Rassegna storica del Risorgimento

BELGIO
anno <1949>   pagina <208>
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208 Libri e periodici
umana da anteporre allo stesso interesse economico. È attraverso la libertà che ci si abitua e ci si educa alla libertà. Di conseguenza ai può dire che il popolo è maturo per tutte quelle libertà che sa guadagnarsi e mantenere. Nel dare quindi un complessivo giudizio sull'Illuminismo lo Sciacca, dopo aver riconosciuto le riforme benefiche (limi­tazioni dei conventi, abolizione di privilegi, di manomorte, della servitù della gleba) rileva l'ingiustificato spìrito settario, anticlericale, anticbiesastico manifestatosi in pieno ce con l'abolizione e la persecuzione in massa della Compagnia di Gesù, vero modello delle riforme violente e senza scrupoli giuridici del secolo XVIII (p. 35). Ci fu invero uno spìrito anticlericale e anticbiesastico (quasi mai antireligioso), ma esso fu generale in quasi tutta l'Europa, come generale in Europa fu l'opposizione ai Gesuiti, penetrata tra gli stessi ambienti ecclesiastici. non occorre ricordare le pole­miche coi Gesuiti non solo dei Giansenisti (che ci sembrano fraintesi dallo Sciacca come quando scrive ce La lotta contro quel che i Giansenisti chiamavano dispotismo e mondanità dei Gesuiti non ha nemmeno un'apparenza di nobiltà se si pensa che essi finivano per appoggiare il dispotismo buco (p. 55), non comprendendo come sia per­fettamente naturale che coloro che si oppongono alla mondanizzazione della Chiesa favoriscano un forte potere statale che obblighi hi Chiesa a rimanere nei propri biniti), ma anche di sinceri cattolici. Non si tratta quindi di riforme violente e senza scru­poli giuridici ma di situazioni complesse politiche ed economiche, di diffusi stati d'animo che sboccavano in provvedimenti pienamente giustificati anche se non tutti delegali e ce giuridici. (Ma dove andremmo a finire se nella critica storica pretendes­simo il rispetto del ce diritto quasi che esso fosse una regola eterna ed immobile e non si evolvesse invece per darà sempre veste legale alle conquiste politiche, sociali, eco­nomiche di una classe ?). E la stessa forma di critica che lo Sciacca usa per i Giansenisti, l'adopera anche contro il Parini e contro hi filosofia del '500 e '600. Per lo Sciacca infatti che il pensiero filosofico del '500 o '600 si svolga contro la filosofia aristotelico scolastica non vuol dire affatto decadenza del pensiero cattolico o della Chiesa perchè quella filosofia non è la Chiesa né il Cattolicesimo anche se è cattolica, né tutto il pen­siero cattolico è aristotelico né è ortodosso solo quello artistotelico. Laddove è proprio il pensiero cattolico che decade nel '500 e nel '600 perchè la filosofia aristotebco-scolastica era il modo di manifestarsi di quel pensiero, perchè combattere l'autorità di Aristotele, voleva dire combattere l'autorità della Chiesa e affermare hi libertà di interpretazione di cui il Rinascimento si fece banditore. Certo oggi non sono più una novità le interpretazioni cattoliche del Rinascimento dopo i vari Toffanin e 01-giati fra gli Itahani e Fastor e Walser fra i Tedeschi che hanno tentato di capovolgere le interpretazioni classiche del Burckhardt e del De Sanctis. A noi sembra che il '500 e il '600 non siano secoli antireligiosi, ma che la ricerca della divinità avvenga in un campo diverso, nella natura, onde il panteismo è la nota fondamentale della filosofia di questi due secoli. E gli stessi due autori citati dallo Sciacca a dimostrazione della sua tesi. Campanella e Vico, non sembrano essere nella piena ortodossia: il primo per il suo panteismo, comune del resto ai maggiori filosofi contemporanei, il secondo per la sua Provvidenza immanente.
E cosi a contro l'aristocrazia invertebrata del suo tempo sarebbe il Parini e et non contro l'aristocrazia come tale (p. 61); (Ma allora neanche i borghesi francesi dell' *89 erano contro la nobiltà ce come tale perchè essi sostenevano che la nobiltà " non aveva più allora alcuna funzione da compiere. E poi l'uomo quando giudica una classe la giudica individuata nel tempo, non in sé, staccata da esso) anzi - e questo in realtà sembra veramente eccessivo per lo Sciacca tutta la morale dell'ode ce La caduta si riduce a questo: a i ricchi ed inutili nobili hanno il cocchio... il povero Parini... è costretto a infradiciarsi. Date un meritato cocchio anche al povero abate. Allora il poeta Parini non invidicrà più le eleganti comodità dell nobiltà; anzi sarà lieto di vedere sfilare per le lucide e bagnate vie di Milano, la fila dei cocchi signorili (p. 62). Oro se è esatto che al fondo della poetica pariniana ci sia questa considerazione: la