Rassegna storica del Risorgimento

BELGIO
anno <1949>   pagina <215>
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Libri e periodici
Francese al nostro movimento, dell'apporto delle classi popolari, della funzione poli­tica del Giansenismo e via discorrendo.
Tra tali problemi quello trattato più a fondo (naturalmente nel limite consen­tito dalle 248 pagine complessive del saggio) è il problema del contributo popolare al Risorgimento, problema tuttora dibattuto e aperto, ma che ci sembra debba essere impostato in maniera tale da chiarire una volta per tutte il carattere borghese del movimento, non beninteso nel senso che non vi sia stata partecipazione popolare, (ad esempio, una non recente statistica dava nelle giornate di Milano, 280 morti tra operai e artigiani sui 354 complessivi) ma nel senso che ite proletari combattono sotto la guida dei borghesi, per ideali borghesi, fanno cioè corpo con un'altra classe, perchè questa ha una guida culturale che ad essi manca e perchè storicamente soltanto l'avvento della borghesia avrebbe reso possibile la loro lotta e conseguente emancipazione.
Il che poi coincide con ciò che l'A. dice: se non può escludersi la partecipazione isolata di alcuni elementi popolari al movimento per l'unità italiana, resta esclusa la partecipazione del popolo come classe (p. 216). E fin qui d'accordo. L'A. però aveva detto prima che le classi degli intellettuali e della media borghesia erano le sole classi che allora potessero comprendere l'ampiezza e il significato delle idee democratiche, le sole che dalla realizzazione di queste idee potessero ricavare un vantaggio sociale e politico (io direi anche economico n. d. r.) immediato e diretto (p. 45). E questo si potrebbe anche sottoscrivere, se non ci fosse quella costante distinzione tra ce classe degli intellettuali e media borghesia, che ci riporta, almeno in parte, al motivo del Risorgimento, ce miracolo operato dagli intellettuali, che ricorre assai spesso nella pubblicistica recente e non recente. Laddove quegli intellettuali, lungi dall'essere una classe a sé, erano proprio la guida culturale della borghesia perchè ne esprimevano gli ideali e le aspirazioni. Tale sopravalutazione dell'elemento a cultura nel nostro movimento di unità nazionale, se trova la sua giustificazione nella tradizione e nel-l'unità culturale italiana che si può far risalire agevolmente nel corso dei secoli, non ci può far dimenticare che unità culturale non è unità politica, anche se ne è il presupposto, onde fl ce miracolo potè attuarsi solo quando dietro gli intellettuali ci fu una classe con le sue concrete aspirazioni economiche, politiche 6 sociali.
Continuando poi a sfogliare il libro in esame colpisce l'affiancarsi di motivi pre­cìsi e concreti a motivi retorico-sentimentali. Infatti mentre a pagina 89 troviamo un'affermazione notevole a proposito'del moto rivoluzionario del 22 maggio 1797: a II popolo oscuramente percepiva che la cacciata degli stranieri non era il vero movente della lotta fratricida e che esso non si batteva per l'indipendenza della patria, ma... per gli interessi particolari della classe dominante, nel capitolo seguente invece, a proposito del Governo provvisorio, leggiamo che CSBO non tralasciava occasioni di infierire (? 1) contro il ceto dei Patrizi... (p. 113). Prima si afferma che l'aristocrazia premeva contro la media borghesia e che tra queste due classi vi era ce un duello ai ferri corti e poi si rimprovera al Governo provvisorio dice infierire addirittura contro i Patrizi per qualche provvedimento fiscale che aveva l'unico torto di colpire solo metà del Minor Consiglio, invece di colpirlo per intero, ma non certo quello di non rispet­tare una convenzione ratificata dagli organi allora responsabili del potere. (Certo l'argomentazione giuridica c'è la non retroattività della legge ma in clima rivo­luzionario essa non è servita e non servirà mai a nulla per la semplice ragione che ogni rivoluzione mette in dubbio proprio la legittimità del potere che ha emanato quelle leggìi).
Ci è sembrata abbastanza interessante, invece, là parte economico-finanziaria. A pagina 103 leggiamo chea la pubblica rendita era ristrettissima, e, attesa la sterilità del paese, il più consisteva in tasse (io avrei detto imposte n. d. r.) indirette e gabelle pagabili olle porte della città capitale. Nella Seconda Repubblica, al contrario, appren­diamo che oltre olla riduzione della tassa personale a 3 lire nella capitale e a 2 nel restante territorio, fa chiesta un'anticipazione di un bimestre sulle imposte dirette.
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