Rassegna storica del Risorgimento

DURANDO ; NOTE ; 1848
anno <1950>   pagina <30>
immagine non disponibile

30 Alessandro Aspesi
Proprio alla vigilia della guerra si pensa nientemeno che a riorganizzare i battaglioni e le compagnie, in modo da impastare e fondere le recinte inesperte con gli anziani, curando un'equa distribuzione delle une e degli altri nei vari reparti e togliendo così quell'affiatamento tra comandanti e truppa, che è elemento prezioso nel combattimento. Non si era pensato a formare una divisione di riserva da scaglionare in seconda linea, Tutto ciò pare una vera e bella favola. Ma siamo in tempo di favole, esclama il fratello Giovanni, che lamenta anche la disorganizzazione dei servizi logistici e di quelli di sanità.
E noto come in questa breve campagna tutto fu affidalo aLTimprovvisazione, al caso, ad un senso quasi fatalistico degli avvenimenti.
Appena concluso l'armistizio, detto di Salasco, già si pensava ad una ripresa della guerra, ma nulla si faceva per organizzarla adeguatamente, per prepararvisi convenientemente. L'unico pensiero del governo sardo era quello di accrescere gli effettivi, invece di attrezzare posizioni fortificate, basi di operazioni, depositi, un ser­vizio d'informazioni sul nemico, e sopra tutto impostare un deciso piano offensivo, come si addiceva ad una guerra che voleva essere di conquista. Delle sette divisioni e due brigate separate, di cui si componeva l'esercito sardo, in tatto 85 mila uomini, una divisione, quella del generale La Mar inora, forte di 12 mila nomini, mandata a Sar-zana, vi si trovava ancora al momento della denuncia dell'armistizio e successivamente fu fatta marciare su Parma, sottraendola così alla battaglia campale e decisiva. Una divisione fu tenuta di riserva a Novara, un'altra, quella del Ramorino, doveva tenere la Cava, mentre le altre quattro furono scaglionate tra No vara e Pavia.
Giovanni Durando aveva dislocato la sua divisione un po' indietro dello schiera­mento generale, e cioè, intorno a Vespolate. Quando Chrzanowsky seppe del passaggio del Ticino presso la Cava da parte del nemico, diede ordine a Durando di portarsi davanti a Mortara e al generale Bes davanti a Vigevano, tutti e due in posizione difensiva.
Il mattino per tempo Durando era già a Mortara, dove al pomeriggio fu raggiunto dal Duca di Savoia, mentre il Bes fu alla sera soltanto a Vigevano e di là si spinse alla Sforzesca, lanciando una forte avanguardia fino a Borgo S. Siro per sorvegliare il passaggio del Ticino a Beregaardo. Ma il Bes, purtroppo, per il mancato coor­dinamento delle operazioni, ignorava la presenza del Durando a Mortara, e, temendo di essere aggirato a destra dal nemico, mandò una brigata ad occupare Fogliano, mentre attendeva le due divisioni Perrone e Duca di Genova, e cercava di ottenere informa­zioni sul nemico. Il Durando, in posizione svantaggiosa a Mortara, era battuto dal maresciallo D'Aspre, e il Duca di Savoia non era in grado di aiutarlo per la distanza che io separava. Non è possibile seguire passo per passo le vicende di questa breve campagna, tanto più. che non entra nello scopo nostro.
Interessante è il sentire invece come la pensava in proposito Giovanni Durando, uno dei maggiori protagonisti di quelle drammatiche giornate.
Vi è una lettera di lui al fratello Giacomo del 23 aprile dello stesso anno, e cioè un mese preciso dopo i fatti. I suoi giudizi sono spontanei, schietti, perchè non desti­nati al pubblico o comunque ad essere noti, ma riservati al fratello, con cui fu sempre in stretta relazione, non soltanto di affetti, ma di sentimenti e di aspirazioni.
Anch'egli ritiene la sua posizione a Mortara viziosa, e ad essa dovette rassegnarsi, sebbene a malincuore nonostante le rimostranze fatte al capo di stato maggiore. Critica la tattica temporeggiatrìce adottata dallo Chrzanowsky, le successive disposizioni prese, quando seppe dell'avanzata nemica, la scissione dell'armata in divisioni slegate. Tuttavia nel coro generale di denigrazione contro il capo di stato maggiore generale, su cui si voleva far ricadere parte della colpa della sconfìtta, egli è dei pochissimi che