Rassegna storica del Risorgimento
REPUBBLICA ROMANA (1849) ; ROMAGNA
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1950
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La Repubblica Romana in Romagna 533
tributati anche se sconfitte, si erano arrogate più ampie funzioni direttive sia nella politica che nel pubblico ordinamento. I Civici si attribuivano soprattutto l'ufficio di custodi e difensori delle conquistate libertà.
Ma quanto di fatto contribuissero a difendere la libertà di tutti con obiettiva fermezza è difficile dirlo, poiché erano molti i Civici che insofferenti di disciplina militare vera e propria =- ricordavano ad ogni occasione non tanto la loro appartenenza ad una milizia cittadina, quanto piuttosto la loro appartenenza ai partiti e alle fazioni.
Erano poi sorti negli ultimi giorni del '48 e nei primi del seguente anno i Circoli Popolari cui si erano iscritti i patrioti di tutte le tendenze e che pertanto rappresentavano tutto il tumulto e tutte le discordie politiche dell'ora. Ciò non ostante erano una forza dominante e si imponevano facilmente alle Magistrature quando le Magistrature fossero state in dissenso con loro; e tenevano continuamente in sospetto e in timore i Governatori quando costoro avessero date prove di tiepidezza, di incertezza o di inopportuna o non gradita obiettività. I Circoli Politici erano l'autorità illegittima dominante su quella legittima, e le assemblee di tali Circoli facevano di fatto le leggi.
Quanto alle vere tradizionali forze dell'ordine rappresentate dai carabinieri, da poche guardie di finanza e dagli Svizzeri, esse avevano subito modificazioni nel numero e nella dislocazione.
Un vero dramma si era avuto nel gennaio a proposito degli Svizzeri. Legati da un giuramento di fedeltà alla persona del sovrano, essi si erano trovati nell'imbarazzo allorquando questi aveva abbandonato la Capitale. Parve al loro generale Latour di trovar pace per la sua coscienza allorquando da Gaeta gli venne l'ordine di raggiungere quella località coi suoi uomini; e quindi senz'altro dispose perchè i due reggimenti si adunassero onde iniziare la marcia della partenza attraverso le Romagne e le Marche. Ma non appena si ebbe notizia di quel provvedimento, grandissimo fu l'allarme non solo fra le autorità, ma anche nella popolazione che negli Svizzeri riconosceva soldati imparziali e soltanto preoccupati di mantenere l'ordine pubblico.
Le autorità, e soprattutto i presidi di Bologna, di Ravenna e di Forlì, si adoperarono tosto, per dissuadere gli Svizzeri dal proposito, ma ogni premura riusciva vana. Anche i Circoli Popolari fecero calorosi appelli ricordando a quei soldati la libera Repubblica Elvetica, ed invitandoli a rimanere in questa loro seconda patria. Ma tutto era inutile argomenti e sentimenti si infrangevano di fronte alla santità di un giuramento. Si pensò allora di impedire la partenza con la forza, e si moltiplicarono compagnie di Civici inviandole a presidiare quei punti stradali per cui i due reggimenti avrebbero dovuto transitare. Provvide con particolare energia a questa mobilitazione negli ultimi giorni di gennaio il preside di Ravenna conte Laderchi. Naturalmente le Autorità si opponevano non solo perchè veniva meno nelle Provincie una delle forze più sicure, ma anche perchè tale forza ondava a servizio di una causa contro cui la lotta era già iniziata, una lotta che di giorno in giorno si faceva più accesa.
L'opposizione giunse a tal segno che a Faenza ed a Imola furono sequestrati ufficiali svizzeri. Tutto questo avveniva col consenso del governo centrale.
Ma intanto correvano trattative fra il Comando Svizzero e le autorità bolognesi: trattative lunghe e vi il Orili giacché si doveva arrivare'ad una convenzione onorevole per tatti. La mattina del 30 gennaio si seppe in Romagna, che gli Svizzeri avevano rinunciato alla (partenza e quindi le preoccupazioni per un conflitto che sembrava inevitabile ebbero termine. Di fatti gli Svizzeri rimasero adunati a Bologna, ma quali testimoni e non attori negli ulteriori avvenimenti.