Rassegna storica del Risorgimento

REPUBBLICA ROMANA (1849) ; ROMAGNA
anno <1950>   pagina <536>
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Piero Zama
durante la rappresentazione, discorso celebrativo per bocca dell'eloquente avvocato Tommaso Zauli Saiani, e poi distruzione degli stemmi dice un cronista a furore di popolo, e spari di mortaretti,e suono di trombe e di campane, e Alberi della Libertà, di cai uno, adorno del berretto e di due bandiere tricolori, nella piazza maggiore.
Non è il caso di dimenticare i balli in una città dove la tradizione in materia è a gara di primato. Ci fu persino una disposizione della Magistratura che fece obbligo ai rurali delle parrocchie viciniori di riserbare i loro., balli degli ultimi due giorni di carnevale alla piazza di Forlì, onde lo spettacolo fosse più emozionante. Inoltre cosa mai concessa prima d'allora il veglione di ballo tenutosi nel teatro la sera del 20 (ul­tima sera di carnevale) fu protratto fino alle ore cinque del mattino seguente, che era il mattino delle Ceneri.
Ma tutto questo, ed altre circostanze che ometto, non era ancora per i Forlivesi.la festa, la vera festa ufficiale. Essa venne fissata dalla Municipalità s'intende per sug­gerimento del Circolo Popolare nella giornata del 4 marzo. E si videro in quella gior­nata domenicale cerimonie davvero insolite quale quella del Te Deum cantato nella cattedrale, e l'altra del mezzodì consistente in un banchetto di oltre millecinquecento coperti i quali sedettero presso sedici file di tavoli, disposti a raggiera, con punto di par­tenza la base dell'Albero della piazza maggiore. Sedici file di tavole con quasi cento commensali per ogni tavolata! E ciascuno di quei patrioti aveva pagato in anticipo la sua quota: due paoli a testa.
Nel banchetto non mancò il concerto musicale, la presenza dei Dragoni agli sbocchi deQe strade, il discorso dell'avvocato Zauli Saiani, il canto di-un inno appositamente composto, ed alla fine un. corteo per le vie cittadine con qualche carrozza, sulle quali presero posto coloro che rappresentavano l'autorità e fors* anche una abbondante liba­zione. Bandiere tricolori dovunque, anche sulle teste dei cavalli.
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Questa cronaca che possiamo chiamare rosea anche se toccata da qualche pen­nellata grigia, si ripete, con qualche variante suggerita dall'estro paesano, in altre città e luoghi di Romagna. C'è persino la ripetizione dell'incendio o della manomissione del­l'archivio, come a Brisighella e a Castelbolognese; ci sono a proposito di pennellate grigie le forzate liberazioni di carcerati che gli amici consideravano vittime della fede, e la cui colpevolezza navigava incerta fra le rive della politica e quelle della comune delinquenza. E ci furono anche sempre a proposito di grigiore minacele a persone, abusi nei sequestri di beni, ricatti, insulti ad ecclesiastici, e via dicendo.
In questo generalo tripudio che è di quelli a cui è impossibile porre argini, riman­gono, a dir vero, assenti o sordamente ostili quasi tutti i campagnoli, sia perchè sono turbati nella loro coscienza religioso, ma più ancora perchè l'esperienza ha loro inse­gnato che pollai e botti e messe dei campi troppo spesso sono bersaglio di patrioti e di reduci che dicevano di combattere contro lo straniero.
Ma piuttosto c'È, accanto a questa cronaca, la cronaca nera che è un tragico rac­conto di delitti.
Non c'è bisogno di lunghe ricerche per avere notizie sulla lugubre vicenda: basta leggere le cronache che sono in buon numero nelle Biblioteche romagnole, e basta con­sultare registri di ospedali e di camere mortuarie
C'è, per esempio, il Diario del sacerdote Fossa, che, nel suo stile telegrafico,, fa pensare al rintocco di una campana funebre.