Rassegna storica del Risorgimento
REPUBBLICA ROMANA (1849) ; ROMAGNA
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1950
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555
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Libri e periodici- 555
Come ognun sa, Garibaldi venne ferito il 29 agosto 1862 nel pomeriggio, alle ore quindici e trenta circa, mentre trovavasi al margine della foresta che copre l'altipiano d'Aspromonte.
Lo colpirono contemporaneamente due proiettili: uno, producendogli una ferita leggiera di striscio alla faccia estema del terzo superiore della coscia sinistra; l'altro, producendogli una ferita grave all'articolazione del piede destro.
Avuta la sensazione di essere ferito, Garibaldi (e nella affermazione del fatto sdii concordi tatti quei che furon presenti) si arrestò un attimo; quindi riprese il cammino sulla linea tenuta dai suoi volontari; ma, fatti pochi passi, dovette abbandonarsi a sedere sul terreno. Scopertosi il capo, gridò: e Viva l'Italia agitando il berretto. Aè~ corsero a portargli i primi soccorsi i tre medici dell'ambulanza garibaldina: Pietro Ripari, Enrico Albanese e Giuseppe Basile, i quali, due giorni dopo a bordo della nave su su cui erano imbarcati con il ferito, la pirofregata Il Buca di Genova, stesero una relazione che, naturalmente, assunse l'importanza di un documento ufficiale.
Dalla relazione, che l'A. riporta per intero, risulta che non vi fu vero accordo diagnostico tra i tre curanti, tanto che ritennero prudente pronunciare un giudizio dubbio. E cosi intanto che Garibaldi è sul Ietto di dolore e lo brucia la febbre conseguente al flemmone sviluppatosi in sede della ferita, ben 26 chirurghi, tra cui alcuni di larga e meritata fama, si avvicendano nella diagnosi con pareri spesso del tutto opposti, o per gelosia di mestiere o per ragione di parte, dando in tal modo vieppiù esca alle diatribe politiche che andavan dilagando nella stampa nostrana e forestiera. Si deve alla valentia e al disinteresse di un celebre medico francese, Angusto Nélaton professore di eli* nica chirurgica all'Università di Parigi, l'aver affermato con sicurezza la ritensione. nella ferita, del proiettile, di cui precisò anche la posizione e per la cui estrazione suggerì un metodo'agevole e sollecito. Ma la diagnosi eccellente non fu punto presa in considerazione fi per lì: anzi, proprio il giorno successivo alla sua visita all'infermo, e cioè il 29 ottobre, in un consulto, rimasto celebre nella storia delle riunioni dei medici al letto dei malati, ben 18 rappresentanti della scienza medica italiana, dopo aver discusso per ben quattro ore dichiararono in un bollettino ufficiale, senza peraltro accennare minimamente al referto del collega francese, che esisteva, sì, nella ferita il proiettile ma che non era ancora per intanto opportuna l'estrazione. E solo il 23 novembre, e cioè dopo 87 giorni dal ferimento, siprocedette all'operazione secondo il metodo consigliato dal dottor Nélaton, operazione che riuscì felicemente per merito essenzialmente di Giuseppe Basile, il quale, sia detto per amor del vero, sin dal momento della stesura della relazione sulla pirofregata Il Duca di Genova aveva visto giusto.
Non sarà inutile ricordare, tra tante ipotesi emesse nell'occasione, quella assai strana del colonnello medico Giovanni Astegiano, dettata però dal tentativo generoso di scagionare i bersaglieri d'Italia per aver sparato il colpo tremendo per la salute del Generale. In un articolo comparso su II Risorgimento /rollano (notevole se non altro perchè ci dà notizie interessanti sull'armamento delle truppe d'allora) l'Astegiano sostiene che la palla non fu lanciata da ima carabina di bersagliere, ma da un fucilacelo di qualche ignoto attentatore alla vita di Garibaldi, nascosto nel' Vallone superante le due parti contendenti.* Il proiettile estratto dal chirurgo pesava 24 grammi (egli dice), mentre i proiettili lanciati dai bersaglieri avevano peso quasi doppio. Anzitutto il pezzo di piombo estratto dalla ferita di Garibaldi (come ben dimostra il nostro A.) non fu il proiettile intero, ma una scheggia (il proiettile, uscito dalla carabina, deve aver urtato contro una pietra e una scheggia di cito feri l'Eroe); secondariamente tutti i presenti al fatto concordano nell'aaserire che Garibaldi fu colpito da tre scariche dei due battaglioni di bersaglieri, il 6 e il 25, i quali aprirono il fuoco su tutta la linea a trecento metri dal Generale. Il Cotajanni cosi commentava in quei giorni lo scritto dell'Astegiano: tra qualche anno gii storici stipendiati dalla monarchia negheranno