Rassegna storica del Risorgimento

1847-1848 ; CHIESA ; SARDEGNA (REGNO DI) ; STATO PONTIFICIO
anno <1951>   pagina <30>
immagine non disponibile

30
Romolo Quassù
pienamente liberi nelle pubblicazioni relative al loro ministero; l'art. 2 riservava agli ordinari la censura preventiva delle opere riguardanti materie religiose ed in queste-iucludeva non solo la Sacra Scrittura, catechismo, liturgia, ascetica, omiletica, teologia morale e dogmatica, teologia naturale, ma etica, storia sacra ed ecclesiastica, gius ca­nonico; e lasciava ai vescovi potestà di premunire ed allontanare i fedéli dalla lettura di emaninone nitro libro pernicioso alla religione e alla morale. L'art. 3 assicurava ai vescovi piena libertà di scelta dei predicatori, con il solo vincolo della comunicazione dei loro nomi all'autorità politica, quando li si facesse venire da altri Stati; e l'art. 4-riconoseeva piena libertà di comunicazione dei vescovi e dei fedeli con la Santa Sede, dei regolari coi loro superiori generali. Col 5 si prometteva ai vescovi l'intervento del governo, coi mezzi a sua disposizione, qualora essi lo richiedessero a tutela della religione e della moralità. Solo a partire dall'art. 6 si entrava nell'argomento della com­petenza giudiziaria, deferendo ai- tribunali laici le cause personali degli ecclesiastici in materia civile e le cause reali riguardanti i possedimenti e altri diritti temporali dei chierici, dei benefizi e delle oltre fondazioni ecclesiastiche. Ma l'art. 7 si affrettava a. sottoporre al giudizio del tribunale ecclesiastico a norma dei sacri canoni tutte le cause riguardanti la fede, i sacramenti, le sacre funzioni ecc., limitando nell'art. 8 al solo coso del giuspatronato laicale l'intervento dei tribunali laici e riconoscendo a questi ultimi la potestà di giudicare sugli effetti civili di quanto i tribunali ecclesiastici aves­sero sentenziato nelle cause matrimoniali. L'art. 9 concedeva che fossero giudicati da magistrati laici gli ecclesiastici incolpati di delitti estranei alla religione e contemplati dalle leggi criminali dello Stato. Ma negli articoli 10,11,12 si manteneva qualche pri­vilegio, come nella convenzione del 1841 col Regno Sardo, vale a dire semplice pena pecuniaria nelle contravvenzioni, luoghi isolati di reclusione o di relegazione, riguardi particolari in caso di arresto. Nell'art. 13 si ripetevano pure le disposizioni concordate col Regno Sardo nel 1841 per il caso di condanna a morte di un ecclesiastico; cioè comu­nicazione al vescovo con richiesta di degradazione e parere del vescovo con eventuale possibilità di deferimento ad una commissione di suprema istanza. L'art. 14 conferiva alle autorità ecclesiastiche piena libertà di amministrazione dei loro beni con la sola limitazione della richiesta di consenso del sovrano per alienazioni o locazioni di lunga durata. Infine l'art. 15 rinnovava l'assicurazione della piena libertà dell'autorità eccle­siastica nelle varie incombenze del sacro suo ministero.
Dopo aver messo il gabinetto piemontese in grado di conoscere particolarmente, con l'invio del testo della convenzione colla Toscana, le intenzioni della Santa Sede, il Pareto continuò a pregare l'Antonelli, affinchè si sollecitasse il disbrigo della questione pendente. Intanto nell'azione diplomatica svolta dal Governo piemontese presso la Santa Sede avvenivano mutamenti di notevole gravita. Antonio Rosmini, convinto cheli Papa non avrebbe data la sua adesione al piano di carattere prevalentemente militare che il Pecrono gli aveva comunicato con dispaccio del 4 ottobre, si dimetteva dall'in­carico affidatogli. L'avvocato Domenico De Ferrari, consigliere di Cassazione, che già aveva avuto la missione straordinaria di ottenere la convalida di Ferrante Aporti all'arcivescovato di Genova, ebbe l'incarico di assumere anche la pratica per la Lega politica italiana.
Il 24 ottobre il Pareto potè finalmente comunicare al Porrone il controprogetto di concordato consegnatogli, con la data dal 22, dall'Antonelli. Questo controprogetto collimava testualmente con quello convenuto colla Toscana in quanto accettava il principio di deferire le cause civili fra ecclesiastici e laici ed anche fra soli ecclesiastici al tribunali laici, di consentire a questi il giudizio sulle successioni di giuspatronato