Rassegna storica del Risorgimento
SALVEMINI GAETANO
anno
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1951
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pagina
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120
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120 Libri e periodici
quando vi ho lasciato dopo quella visita, [a Nohant], e sento il bisogno di disvelo . Più tardi però (e il Luzzatto avrebbe dovuto ricordarlo) il Mazzini si convinse e tristemente e a malincuore. che quanto aveva salutato quale sincera e conscio espressione di sacerdotessa non era che eco passiva, in anima d'artista, di una fede non sua.
Albi conclusione del suo lavoro il Luzzatto si chiede chi aveva ragione,, tra il Mazzini e la Sand, nella polemica che si aggirava in quell'epoca soprattutto sopra gli uomini e le tendenze socialiste. Ma non vi è dubbio che il Mazzini vedeva ben giusto nell'attribuire ai socialisti francesi la colpa del fallimento della democrazia e nel sostenere (come di fatto avvenne) che il suffragio universale avrebbe convertito il processo rivoluzionario in un processo di reazione. La missione della Francia, nella quale egli aveva deposte tante speranze, gli sembrava ormai finita. Infatti, quando si recò a Parigi, nel 1850, per mettervi le basi di una nuova associazione, ebbe a confermarsi nelle idee (nutrite invero ed espresse sin dal 1835) che la Francia era per molti anni perduta e che l'iniziativa del moto era da trovarsi altrove. Perciò si rivolse ai popoli vergini, come la Germania, e a tutte le nazioni di razza germanica e slava; cioè ai popoli anelanti ad indipendenza e unità, che non potessero divenir preda delle mire assolutistiche di Napoleone III o dell'imperialismo dispotico della Russia*.
Ed egli faceva lèva sull'Italia, di cui non voleva solo mutare le sorti, ma che voleva rigenerare sicché potesse essa divenire l'ispiratrice di una fede di progresso e di fratellanza della umanità.
Codesta istanza europea, così viva e forte, che rappresenta indubbiamente uno dei motivi più notabili e, in parte, più attuali del pensiero mazziniano, non poteva di certo essere compresa, e seguita, dalla Sand, ricca di sensibilità ma povera d'intuito politico, e, per giunta, gelosamente attaccata alle tradizioni del suo paese. Sulla divergenza di vedute dei due scrittori su questo punto (divergenza per me fondamentale) sarebbe stato opportuno che il Luzzatto si fosse soffermato, ponendola nel suo dovuto
n**evo* MARINO CIRAVEGNA
GIUSEPPE MONTANELLI, Introduzione ad alcuni appunti storici sulla rivoluzione d'Italia, a cura di ALBERTO ALBERTI; Torino, Chiantore, 1945, in 16, pp. 377. S. p.
Innanzi tutto io credo necessario che hi Rassegna, attraverso il recensore, chieda scusa ai suoi lettori di render conto con tanto ritardo della pubblicazione di quest'opera; ma le ben note vicende di questi ultimi anni costituiranno miglior argomento che qualsiasi lungo discorso apologetico, mentre si sta faticosamente riprendendo il tempo perduto per cause di forza maggiore.
Del resto il ritardo non è sempre uno svantaggio, sicché ci è possibile, parlando oggi di questo libro, tener conto anche di quello che nel frattempo è stato scritto altrove su di esso.
Nel 1945 accadde il fatto singolare che di quest'opera, originariamente pubblicata nel 1851, uscissero per la prima volta e contemporaneamente due edizioni, 1 una curata da Vincenzo Mazzei per la casa editrice Sestante, l'altra da Alberto Alberti per Chiantore. Noi ci occuperemo qui soltanto di quest'ultima.
Era difficile che uno scrittore dovendo più di sei anni fa presentare al pubblico un'opera di polemica politica cosi viva come questa del Montanelli, potesse resistere m pieno alla tentazione di attualizzare il Montanelli, cioè di sentirlo e servirsene in termini di polemica politica attualo. A questa tentazione non ha resistito, difatti, il Mazzei, e neppure, del tutto, l'Alberti.
Nell'introduzione dell'Alberti questa tendenza non ha distorto il giudizio storico, in modo da presentarci un Montanelli anacronistico (clic è la forma più grossolana di attualizzazione); ma ha bensì impedito all'Alberti di inquadrare in maniera crìticamente compiuta la presente opera montaneHiana nel complesso della produzione dello