Rassegna storica del Risorgimento

SALVEMINI GAETANO
anno <1951>   pagina <128>
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128 Libri e periodici
Resta scrisse Eduardo Searfoglio Gabriele D'Annunzio. Giudicatelo come volete, esaltatelo o condannatelo: voi non potrete disconvenire che egli riempie della sua personalità esuberante tutto il mondo della poesia, del romanzo, del teatro, tutta, insomma, la letteratura moderna, dall'Italia alla penisola scandinava, da Parigi al Giappone.
Ora un movimento letterario, che s'inizia con la popolarizzazione e con la nazio­nalizzazione della poesia carducciana in un paese appestato dalle forme inferiori del romanticismo e della imitazione francese e si chiude con l'esplosione di Gabriele D'An­nunzio, che porta la magnificenza del suo bizantinismo in tutto il mondo civile, è cosa degna di un certo rispetto. BRDKO GATTA
LUIGI DAL PANE, Profilo di Antonio Labriola; Milano, Giuflrè, 1918, in 8, pp. 128. L. 220.
Breve schizzo che compendia l'opera maggiore dello stesso autore dal titolo An­tonio Labriola: la vita e il pensiero (Roma 1935), condotta sul materiale dell'Archivio Labriola. * *
ANTONIO LABRIOLA, Lettere a Engels; Roma, Edizioni Rinascita, 1949, in 8, pp. 240. L. 400.
Sono fondamentali per la comprensione sia del pensiero del L., sia della più gene­rale storia della società italiana. Particolarmente pungente è il giudizio dato nell'aprile 1890 sulla difesa che il mondo liberale fa della propria proprietà (si potrebbe dire con giuoco di parole): i liberali e i radicali sono molto coraggiosi contro preti inermi e contro deboli monarchici costituzionali; essi sognano tanto volentieri di Giordano Bruno nelle loggie massoniche: però la proprietà è per essi cosa sacra e i ministri bor­ghesi, le banche e il militarismo sono per essi inviolabili (p. 3). Pagina suggestiva che ci farebbe davvero desiderare uno studio sulla momentanea alleanza tra il cleri­calismo, che ha perduto parecchie proprietà proprio ad opera dei più accesi difensori della proprietà sacra, e la e plebe negli anni 1860-1890.
Partito da un socialismo astratto, il L, pervenne al più cosciente operaismo , non senza però ancora, nel 1892, sentirsi molto triste sulla debolezza della classe che voleva difendere: gli operai hanno avuto effettivamente paura, non solo della polizia e della truppa, ma anzi principalmente delle bombe, degli anarchici, della rivoluzione, hanno avuto paura di se stessi, della propria ombra, delle proprie idee e desideri (p. 56). D'altronde la colpa è per L. anche delle élite* marxiste, non tanto per confusione intel­lettuale, ma proprio per l'espansione di una situazione: quando pochi, più o meno socialisti, si rivolgono a un proletariato ignorante, impolitico, e in buona parte rea­zionario, è quasi inevitabile che ragionino da utopisti ed operino da demagoghi (p. 76). Cosciente propugnatore di uno scienlifismo e di un tecnicismo non può non de­precare quegli anarchici, rivali in ragionamenti comunisti, ma Comunardi fuori luo­go e blanquisti ignoranti, legati ancora, in una società positiva, alla romantica idea dclTimiirrezione. MASSIMO PETROCCHI
MA ORICE VAKSSARD, Hutoire de V Italie tontemporaine, 1870-1946; Parigi, Haehette, 1950, in 8, pp. 323. Fr. 500.
Questo, che appare nella bella collezione deLVtisioire racontée à tous e reca in fronte omaggio e riconoscimento non senza significato la riproduzione del monumento alla Vittoria In Bolzano, è il libro d'un amico. D'un amico, che cerca la ragiore delle cose, di alcune tra le più importanti, almeno, non tanto nel concatenamento o nella succes*