Rassegna storica del Risorgimento
"MARCHE (LE) NEL RISORGIMENTO"; GIORNALISMO
anno
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1951
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pagina
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727
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Libri e. periodici
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ACHILLE DE RLBEHTIS, Nuovi studi sulla censura in Toscana (Biblioteca di Cultura, 38); Firenze, La Nuova Italia, 1951, in 16", pp. V1H-188. L. 650.
Dàlie sobrie ed esatte spigolature archivistiche del De Rubcrtis c'è sempre da imparare, sia per le ghiotte notizie che fornisce, sia per l'esemplare onestà dello studioso, che ama far parlare i documenti, o meglio, controllare continuamente su di essi il proprio discorso, senza forzatore, senza avventate ipotesi allettanti quanto caduche. Difficile per un ecclesiastico il mestiere del censore in Toscana (una volta tanto ci mettiamo nei suoi panni, perchè se oggi si è affermata, coìT ethos dello stato liberale, l'immoralità della censura, non sarebbe da storici il rappresentare con false tinte un altro tipo di stato fondato su un diverso ethos-, pel quale la censura era attività, oltre che utile, morale), combattuto tra l'esigenza di difendere la gerarchia cattolica, il bnon costume e la morale e l'esigenze scaturenti dall'indirizzo giurisdizionalistico (e, sino alla fine del '700, giansenistico) del sovrano e le necessità economiche dei tipografi (presenti al paterno cuore di S. A.), diviso e conteso tra le istituzioni cattoliche (p. es., i vescovi riluttavano a sottoporre le proprie circolari) e quelle governative, tra le norme da far rispettare e le rimostranze degli autori e i desideri del pubblico! Alcune volte, nelle ristampe degli antichi novellieri, dei commediografi lascivetti e dei poeti satirici, le considerazioni propriamente economiche (esposte con rispettosa franchezza dai tipografi) prevalsero e s'escogitarono di comune accordo finti luoghi di stampa, date omesse o alterate, per salvare le apparenze, si diedero, cioè, regolari autorizzazioni a violare anche ciò per cui la censura dicevasi istituita. Autorizzazioni il cui monopolio (analogo a quello di cui usufruirono i lenoni patentati) talvolta poteva costituire un buon affare, tal quale come l'ottenesse che fossero chiusi uno o due occhi (sempre per quelle benedette esigenze dei tipografi senza lavoro) sullo smercio (sempre che modesto ) di libri proibiti (p. es., del Casti). Talvolta la privativa serviva anche a tutelare i diritti (prima del 1840 non ancora considerati tali) degli autori: il povero Botta si vide ristampata quindici volte (solo per una era d'accordo!) nel Granducato, tra il 1824 e il 1832, la Storia d'Italia dal 1779 al 1814, e a nulla valsero le proteste di G. Rosini contro la pirateria letteraria . Tra le direttive costanti della censura il non lasciar pubblicare nulla che riguardasse Napoleone (scopo fondamentale il non sanzionare nazionalmente il riconoscimento di quelle gesta e di quei fatti che non tornavano in vantaggio dei principi di monarchica legittimità o di decoro alle armi dei potentati che avevan distrutto quel dispotico militare potere, nemico della quiete europea) né prò né, se troppo, contro: persino l'ode del 5 maggio del Manzoni stentò a ottenere l'approvazione censoria, tanto più che non appariva al censore raccomandata da distinti pregi poetici, anzi alquanto oscura o, peggio, sospetta, in almeno tre punti. Quando al puntiglio dell'autore s'aggiungeva quello, conforme o contrastante (come nel caso dell'Accademia senese dei Tegei e del sac. L. Borsini), eran guai pel censore, che, se non ce la faceva più a cancellare o a sostituire talora spassosamente, per noi, s'intende parole e frasi, deferiva la pratica alla Segreteria di Stato (presso la quale era la Direzione centrale della censura), al Soprintendente alle stampe o a qualche altro superiore: aspetti comici ha la pratica relativa alla traduzione degli Amori degli angeli di T. Muore, perchè l'invenzione poetica implicava soluzioni teologichefisiologiche di disputata ortodossia; odiosi, invece, l'accanimento della censura toscana contro il Tommaseo (specie a proposito dello Lettere di Fra Gerolamo Savonarola e del Duca d'Atene) inspiegabile se non si suppone (e non riesce difficile) ohe, nel soggiorno a Firenze, Dio sa quali malignila avesse pronunciato a proposito dell'intelligenza dei censori, a parte l'argomento, vero o supposto, delle opere incriminate, tanto più atto a far presa sul pubblico toscano. Ha osservato, infatti, il De Rubertis che il rigore della censura era proporzionale all'effetto che poteva destar l'opera sul pubblico: più intransigente della censura sulla stampa, ad es., quella teatrale (l'ordine pubblico, poi, può essere più facilmente turbato da accolte di persone che da solitari lettori) e la censura