Rassegna storica del Risorgimento
1849-1859 ; TOSCANA
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1952
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72
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72 Libri e periodici
Assai più che la differenza per Venezia e la disunione, fa fatale ai Veneti il prevalere del desiderio di una pace, che desse alla Francia il confine al Beno e non creasse in Italia una troppo grande potenza unitaria. Negli ultimi drammatici colloqui dei giacobini veronesi con il Bonaparte, il generale non poteva non avere presente la linea politica già fatalmente segnata qualche anno prima dal Direttorio in calce al rapporto del Delacroix. L'unico elemento nuovo, se mai, era l'ostentato disprezzo per lo scarso spirito di libertà degli Italiani. Per parte loro i giacobini veronesi esuli nella Cisalpina ed in Francia e quelli più sventurati e più eroici, che la reazione austro-russa deportò nel forti della Dalmazia, si incaricarono di smentire coi fatti le dure parole del Bonaparte.
Gli eventi portarono il piccolo e limitato mondo veronese verso più vasti orizzonti politici e spinsero gli improvvisati dirigenti della Municipalità di Verona verso Venezia, verso Milano e verso Parigi. Le sofferenze dell'esilio e della deportazione ne maturarono l'esperienza e la fermezza. In questo, come osserva il Fasa-nari, sta il giusto valore delle vicende giacobine di Verona, nel quadro delle origini del Risorgimento. VMIO E. GIUNTELA
PIETRO GIORDANI, L'età napoleonica in Italia, a cura di Bruno Romani (Le quinte della storia, voi. 12); Roma, Colombo, 1949, in 32, pp. 25. S. p.
Che al Panegirico a Napoleone Pietro Giordani abbia fatto seguire l'Orazione per il riacquisto delle Legazioni non può essere certamente motivo di scandalo per la presente scaltrita generazione. Né desta più impressione in noi, che avemmo la ventura di vivere sotto capi infallibili, il leggere di Napoleone che non si vide mai né si può sperare uno simile a lui e che la sua grandezza, corre tant'oltre i termini delle cose umane, non può in terra essere invidiata: che anzi appare in vista ogni uomo rallegrarsi perchè dalle sedi immortali sia venuto questo divino spìrito a partecipare l'umana condizione . D'accordo: i tempi, anche allora, erano fortunosi'ed altri illustri piegavano la fronte e cantavano il Bardo dopo aver cantato la BassvUliana, o salutavano con la stessa penna l'ingresso dei Francesi e, poi, la ricomparsa degli Austriaci ed infine il ritorno dei primi liberatori. D'altra parte nel 1807, quando il Giordani scriveva il Panegirico, chi avrebbe potuto prevedere Waterloo? Solo qualche melanconico e solitario saggio (se ne trovano in ogni epoca) disposto a morire d'inedia aspettando l'immancabile trionfo della Giustizia. E non poteva certo aver tempra d'eroe il Giordani, di malferma salute, amareggiato dai contrasti familiari, travagliato dal bisogno e costretto a battere alle porte dei potenti per supplicare un qualche impiego che, con il pane, gli assicurasse la possibilità di dedicarsi ai suoi studi.
Bruno Romani, nel presentarci, con la ristampa dei Panegirico, una scelta dalle lettere e dagli scritti del Giordani di passi riferentesi al periodo napoleonico, abbozza di lui un profilo ricco di umana comprensione. Ce ne mostra le debolezze, le amarezze, le lotte, la solitudine e riesce anche a scoprirvi una certa coerenza morale e politica. Forse una certa qual coerenza la si può trovare proprio nell'assenza di una linea morale e politica che lo rende, in fondo, indifferente di fronte ai grandi della terra: l'adulazione è lo scotto da pagare perchè lo lascino tranquillo a studiare. Una quieta stanza con dei libri non la darò neppure per il trono del più fortunato brigante che visse . Questa poco riguardosa espressione non è già un'anticipata sconfessione del Panegìrico?
Non saprei assolutamente sopportare una vita condannata a non studiare. Questo motivo torna spesso nelle sue lettere. Ma eccolo, dopo aver tutto sacrificato a questa sua divinizzata passione, alle prese con le miserie della vita impiegatizia. Ci tono i documenti giustificanti le spese di viaggio che la contabilità gli richiede invano; ci sono i superiori che non comprendono e non apprezzano; ci