Rassegna storica del Risorgimento
1849-1859 ; TOSCANA
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1952
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pagina
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75
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Libri, e periodici 75
presa Venezia. Era un progetto degno di un buon Italiano, perchè (come ben dimostra il Ferretti) creando uno stato cuscinetto tra l'Austria e la Cisalpino si sarebbero rimossi i punti di frizione tra i due grandi antagonisti e il rischio, nel contempo, di nuove competizioni sulla valle del Po* Il diplomatico ottenne, li per lì l'approvazione del Primo Console, ottenne anche che Bonaparte assumesse quasi la paternità del progetto; ma non ottenne per nulla (e qui sta il punto) che esso (osse imposto all'Austria.
Comunque il progetto, strenuamente difeso dall'Angioina sino all'estremo (non era caldeggiato neppure dal Granduca, che ad ogni costo voleva tornare a Firenze, non solo osteggiato dai plenipotenziari austriaci), è il segno, per il momento in cui fu concepito, di una sensibilità politica degna di particolare rilievo; ed è perciò che il nome dell'Angioliui, sino ad oggi lasciato nell'oblio, va ricordato dagli studiosi del nostro Risorgimento. *ff ~a agA
B MARINO CIRAVECNA
CARLO PELLEGRINI, La Contessa d'Albany e il salotto del Lungarno; Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 1951, in 8, pp. XV-374. L. 1.800.
La figura della contessa d'Albany ha sempre attratto l'interesse degli studiosi e questo è un indubitato riconoscimento della sua non indifferente personalità. Il primo biografo, quell'ottimo erudito, ma non lungimirante politico die fu Alfredo von Reumont, nel 1860 le dedicò un volume, estremamente benevolo. Al Reu-mont altri seguirono sullo stesso tono apologetico; poi venne la reazione, violenta, denigratricc, che si fondò sui giudizi di contemporanei (dal Capponi, al Giordani, al duca di Broglio, al Lamariinc) per abbattere completamente l'idolo che l'Alfieri prima e altri più tardi avevano posto sull'altare.
Carlo Pellegrini, riprendendo in esame l'argomento, si è domandato se non era possibile giungere a una più serena valutazione della celebre contessa e ha voluto darcene la prova con questo volume frutto di una accuratissima preparazione. C'è riuscito? Il più delle volte, si.
Il volume in sostanza è una difesa dell'Albany, ma una difesa fatta da un avvocato esperto, con signorile equilìbrio. Nessun dubbio che la contessa, come moglie, fu colpevole, ma bisogna anche considerare che il matrimonio era stato concluso prima ancora che ella potesse conoscere il regal consorte, i cui difetti, dopo le nozze, si rivelarono insopportabili. Nessun dubbio che, dopo la separazione, l'AIbany usò espressioni ciniche e riprovevoli verso il marito, nessun dubbio che la pubblica unione con l'Alfieri sia stata contraria ad ogni dettame della morale, ma occorre riflettere che per quei tempi si trattava di cosa comunissima, da non destar meraviglia alcuna. Siccome poi, aggiunge il Pellegrini, non siamo qui per far il processo a nessuno, ma a considerare il valore letterario dell'Albany, è doveroso riconoscere che essa esercitò una influenza benefica sul poeta, finché questi visse, e che poi fece della glorificazione del suo nome lo scopo fondamentale della vita. Ed è esatto. Poco fondate poi sono, por il Pellegrini, le accuse secondo le quali l'AIbany tradì l'Alfieri con il Fabrc, e le ragioni che egli porta in proposito sono abbastanza convincenti. Comunque, ripete l'autore, non è il caso di perderai dietro pettegolezzi} opportuno rilevare piuttosto che dopo la morte del-l'Alfieri, l'AIbany, donna di ampia cultural esercitò una sua azione nella vita politica e culturale del tempo.
E qui facciamo una piccola riserva. Che l'AIbany, spirilo settecentesco, legato al vecchio mondo legittimista e perciò irriducibile avversaria di Napoleone, abbia potuto contribuire a mantenere viva, con le proprie molteplici relazioni internazionali, l'opposizione all'Imperatore, è molto probabile; ma quando, passata la ventata napoleonica, ella continuò l'antica consuetudine di aprire il suo salotto sul Lungarno elle migliori intelligenze europee, il suo potere era ormai trumon-