Rassegna storica del Risorgimento
1859-1860 ; VENETO ; VILLAFRANCA
anno
<
1953
>
pagina
<
16
>
16
Roberto Cessi
era stato solennemente proclamato a Milano dallo stesso Napoleone, ed era sancito dal suffragio universale della coscienza pubblica di tutta Europa.
E sebbene il grido di guerra, che aveva risollevato in Veneti e Lombardi, senza distinzione, ansiosa speranza, non interpretasse le profonde aspirazioni popolari, anzi ne frenasse lo slancio in una guerra regolare e dinastica, tuttavia i Veneti, anche nei limiti di una guerra, che escludeva l'insurrezione nazionale , non erano venuti meno al loro debito di coscienza, militando sotto insegne, che per essi rappresentavano tra le immani difficoltà materiali e morali dell'esilio e le preoccupazioni dell'incerto destino il simbolo di luminosa speranza e di certezza comune ad ogni ordine sociale, agli umili e ai ricchi blasonati della storica nobiltà. jQ loro sacrificio non era trascorso invano, anche se l'esito, e non per loro difetto, non era riuscito conforme alle agognate aspettative, l'offerta del braccio e della vita era pegno di imprescritta solidarietà nazionale. I nomi erano superflui, la loro volontà era scritta col sangue. Ed ancora una volta le strade della città erano cosparse di sangue generoso versato dalla caparbia incorreggibile brutalità d'un generale, degno interprete di un sistema di governo intollerabile e sprezzante d'ogni senso di umanità, insensibile al legittimo dolore di deluse speranze, cupido solo di dominio. Nessuna tregua agli offesi sentimenti più nobili; nessuna clemenza verso coloro, che maceravano la loro ingrata esistenza in oscure carceri, colpevoli solo di aver troppo amato la loro patria. Per gli uni e per gli altri nessuna generosità, nessuna garanzia era valida. Forse s'attendeva che una nuova esplosione infrangesse la catena di servitù, che a Villafranca era ribadita?
Gli interpreti della volontà popolare, che non a caso al loro nome aggiungevano il titolo di un potere legittimamente esercitato per libero voto di popolo, non facevano appello a minaccie, non amavano sognare disordini, ma nella loro voce era la virtù del debole, che sente la dignità del suo diritto , e la potenza, che alla fine spezza spada e catene.
La loro invocazione era implacabile condanna della tirannia austriaca, che, comunque fosse esercitata, direttamente o indirettamente per tramite di fantasma irresponsabile, era un'offesa all'elementare diritto del vivere umano; ed era accusa solenne all'Europa, che immemore della propria sa* Iute, coltivava con beneplacito nel proprio seno il germe velenoso di nuovi e micidiali conflitti.
La Venezia mai avrebbe rinunciato al supremo diritto della propria indipendenza e della propria libertà, che traeva origine dal voto liberamente espresso dieci anni prima e non poteva essere invalidato da un atto di violenza. ')
impenitenti repubblicani, e soprattutto il Tommaseo: egli pare voglia sorprenderò in questo comportamento una manifestazione di resipiscenza del passato estremismo. In verità questa momentanea unanimità, nella quale uomini di parte avversa si trovarono uniti, fusionisti ed an tiftisioriigti. liberali, moderati e repubblicani, prescindendo dai motivi di dissenso, si realizzò facondo appello ai prìncipi maturati a Venezia nel 1848, dopo il 9 agosto, nei quali ebbero .parte soltanto gli obbiettivi di libanti- e di indiptiultnsay senza alcun pregiudizio del problema del* l'annessione e dallo sue conseguenze. Per questo i sottoscrittoli dell'appello assunsero il titolo della carica ricoperta in quel lasso di tempo, presumendo di pnrlaro in nomo di uno stato con rappresentanza ufficiale legittimata da antiche funzioni esercitate. A questo patto le divergenze politiche potarono esser superate.
1) Vedi il testo in HARBIEHA, op. dt.t p. 468 segg.