Rassegna storica del Risorgimento

STATI UNITI D'AMERICA ; GARIBALDI GIUSEPPE
anno <1953>   pagina <84>
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Libri e periodici
rica e dalPimprovvisazione, sa l'arsi, peto, sostenitore Bidènte e impetuoso delle neces­sità e dei diritti di Venezia. La minuta della lettera al Ricci, dell'agosto 1848 (pp. 63-65), nella quale insorge contro l'armistizio incomprensibile, è una nobilissima, generosa testimonianza di patriottismo: Così, per timore di vedere invaso il Piemonte, il quale dai di Lei dispacci più recenti si conosce che non era punto in perìcolo, si è precipitata verso la sua maggiore rovina la causa dell'indipendenza italiana... Il modo, special* mente, con cui fu trattata la città, di Venezia senza riguardo alcuno non solo alla sua esistenza politica, ma nemmeno all'altissima sua importanza militare, è una prova non so se di maggiore perfidia o d'ignoranza . In fondo, afferma amaramente, avete trat­tato Venezia come una città che fosse stata per gli eventi di guerra solo momenta­neamente occupata dalle forze piemontesi e avesse sempre ed esclusivamente appartenuto all'Austria, alla quale si dico: io ritiro le mie forze, voi potete riprendere Venezia .... Convinto monarchico, non esita, però, a definire il re sardo debole, rag­girato, mal contornato, procede come se fosse in malafede . Ha, come tutti i liberali moderati, diffida anche della passionalità irresponsabile delle forze popolari e teme si pensi ali*Azeglio, con il quale ha molti punti di contatto che la repubblica significhi solo disordine e anarchia. Per questo scrive al Pasini, allora a Lugano, il 27 agosto: pare in ogni modo anche a me che quel complotto repubblicano che si è formato costà e quella smania di correre a trovare il tradimento, per ispiegare eventi, che con quella specie di tradimenti che suppongono non si spiegan punto, e si spiegano invece perfettamente coll'ignoranza e col risorgere di un partito che pareva morto, e non era che oppresso, panni, dico, che questo complotto e questa marea repubblicana, secondate cosi bene dalle violenze di Garibaldi, diano l'ultimo crollo alla nostre spe­ranze (p. 91).
I settantasette documenti della signora Cessi Drudi (il 78, la lettera dell'Azeglio al Paleocapa, è, in realtà, del 15 giugno 1862) sono tutti di grandissimo interesse, sia per i particolari che aggiungono alla conoscenza di fatti noti (come il diario torinese dal 28 luglio al 19 agosto, pp. 67-87), sia per i giudizi che ci illuminano sullo stato d'animo dei vari attori e testimoni di quei giorni. Anche per l'invito a costituire il mi­nistero, rivolto da Carlo Alberto all'Azeglio, la lettera del 15 dicembre al Pasini, ci fornisce qualche utile chiarimento. Dopo il rifiuto di Muffa di Lisio e i vani tentativi di Gioia, per comporre un.ministero nuovo, il re, che era riluttante a chi:mar Gioberti, fece invece venir da Genova Massimo d'Azeglio; ma, appena giunto, la Concordia lo assali; si vollero far dimostrazioni contro di lui, che dicono retrogrado o codino, e in favore di Giobert, il gran cittadino; e Azeglio rinunciò .all'impresa prima d'essersi accinto (p. 171). Vien spontaneo il ricordo della lettera del 14 dicembre di Massimo alla moglie, con l'accenno alla sbrigativa udienza reale e all'ironico saluto ali abate Vincenzo : Fuora i freddi e dentro i caldi... Come tipo, non c'è dubbio, il Paleocapa apparteneva a quello freddo.
E questo ci spiega benissimo i suoi atteggiamenti, le simpatie che riscosse in certi ambienti, le antipatie alle quali fu fatto segno in altri. Superiori, però, le simpa­tie alle antipatie, anche perchè, in fondo, nel Paleocapa, piacesse o non piacesse ai con­temporanei delle diverse fazioni, dominava una linea di coerenza. Frutto anche della maggiore età e della maggiore esperienza di lui rispetto ad altri.
Maria Cessi Drudi, che da tempo sì è consacrata a felici ricerche su persone e cose del biennio eroico di Venezia, ha molto opportunamente rievocato qualche anno fa un'altra interessantissima figura di quel periodo, Giovanni Battista Castellani, inviato dal Governo del risorto San Marco a Roma. A giudicare da qualche documento posteriore sembra dì poter dire che quella coerenza alla quale restò fedele il Paleocapa non fu compagna indivisibile del Castellani nei tc:r pi che seguirono. Già Daniele Ric­cio tti Bratti, mezzo secolo fa, s'era accorto dell'importanza della sua corrispondenza (/ moti romani del 1848-49 dui carteggio di un diplomatico del tempo, Venezia, 1903), ma s'era limitato a cucirne insieme in forma di continuata narrazione i brani riguardanti Roma, senza farne oggetto di studio approfondito e senza metterne in