Rassegna storica del Risorgimento
STATI UNITI D'AMERICA ; GARIBALDI GIUSEPPE
anno
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1953
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pagina
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88
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88 IAbri e periodici
per giunta che già aveva affiliati molti alla setta per la quale viaggiava . Il Laucetli è arrestato con l'accusa di alto tradimento. La sovrana determinazione lo lascia arbitro dì scegliere tra il tornare in esilio e il sottostare al processo; ma egli, forte della sua coscienza, dichiara francamente di voler assoggettarsi alle conseguenze del suo arresto criminale .
Per dodici costituti tien testa agli interrogatori: senza mai scomporsi e in forma rispettosa, chiara, precisa, sempre a tono, ribatte ogni accusa e dimostra l'infondatezza delle gravi risultanze a suo carico. Ma se anche la Commissione nella sua maggioranza, .contro la proposta del giudice inquirente di condanna a 12 anni di duro carcere, defi-bera di sospendere il processo per difetto di prove legali , il poveretto non è lasciata Ubero. Dopo 16 mesi di sofferenze materiali e morali, colpito in prigione da un forte malessere, è ricoverato nell'Ospedale Maggiore in istato di grave infermità .
Dopo un paio di settimane vien scarcerato provvisoriamente con il vincolo di non uscire dalle porte della città senza speciale permesso; ma alcuni mesi dopo (e precisamente il 15 ottobre del 1838) il pericoloso individuo moriva per consunzione nell'infermeria di Porta Nuova. Aveva 41 anni.
Va data lode al Giussani di aver tolto dall'oblio 0 nome di un italiano di alte dota intellettuali, che amò di forte e disinteressato amore la Patria fino a perderne hi vita.
In appendice al suo studio il Giussani riporta cinque lettere autografe dirette al Lancetti, da Parigi, da Emilio Belgioioso: meritano attenzione, tra l'altro, per vari accenni che vi si fanno di molti italiani, specie milanesi, colà emigrati.
II secondo saggio, del Pieri, sulla guerra del 1848-49 non è cosa nuova: è una rapida sintesi, sia pure succosa e precisa, di altri scritti, ben noti, dell'illustre A. (la vasta opera II 48 nella stona italiana, edita dal "Vallar di; il denso articolo comparso nel volume precedente di questi Studi , su Carlo Cattaneo storico militare della prima guerra d'indipendenza, e l'eccellente relazione sul generale Chrzanowski letta al XXVIII Congresso di Storia del Risorgimento). Ma piace farne cenno soprattutto per il giudizio equilibrato ed equanime che qui egli dà su Carlo Alberto: cioè, che se sono giustificate le diffidenze della parte democratica e repubblicana perchè l'infelice monarca non ebbe né l'animo né il prestigio necessari per guidare una guerra, nel '49 finalmente, solo tra i principi italiani offrendo alla Patria il suo esercito, la sua dinastia, i suoi figli, la sua persona, apparve davvero all'unisono con la coscienza nazionale . La sua Casa stava cosi per entrare nella grande corrente del moto liberale.
Resta in tal modo giustamente avvalorata la figura di Carlo Alberto, attorno al quale non son peranco cessate le aspre polemiche né (io penso) avranno fine sino a che non si avrà il coraggio di guardare in faccia alla verità, al di sopra di ogni pregiudiziale polìtica e di ogni negazione sistematica. Così, ad esempio, se è doveroso addebitare a Carlo Alberto, durante la prima guerra d'indipendenza, tutti gli errori che gli attribuisce la critica storica, sembra d'altra parte onesto, per amor del vero, anche spassionatamente ricercare se e quali circostanze abbiano in qualche modo determinato, almeno in parte, gli errori stessi; poiché nessuna operazione militare, tanto più se di vasta portata, può essere valutata serenamente e coscienziosamente a sé stante, non inquadrata cioè a dovere nelle condizioni generali politiche, sociali, economiche, morali del momento. Non si dovrebbe pertanto dimenticare, tra l'altro, che se 150.000 italiani passarono il Ticino, Carlo Alberto sostenne il peso della guerra per quattro mesi con i suoi soli 80.000 nomini e che i soldati degli alleati, concessi a denti stretti, erano stati mandati in condizioni materiali e morali da non poter recare nessun aiuto; che Milano (e ne fan fede testimoni insospettì, comeil Torelli), fuggitosene il Radetzky, fu inondata da uomini che vi accorrevano pretendendo di essere stati loro gli angeli tutelari della città (mentre in verità so ne erano stati comodamente lontani dal con* ditto) e cominciarono a disseminar discordia o a erigere con la forza che si obbedisse alle loro dottrine, e che gli stessi milanesi che si erano coraggiosamente adoprati per scacciare lo straniero a impresa finita andavano gridando che ormai il nemico era vinto e stravinto e che Carlo Alberto non aveva in realtà più nulla da fare mentre, come