Rassegna storica del Risorgimento

VIEUSSEUX GIOVAN PIETRO ; CIAMPINI RAFFAELE
anno <1954>   pagina <39>
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A proposito dì un libro sui Vìeusseux 30
elogio funebre, il Lambruschmi, testimone attendibile quanto altri mai, attribuirà proprio all'esperienza fatta dal suo amico nell'età rivoluzionaria quella sua desiderata aspettazione di straordinari eventi, e quel suo com­piacersene quando accadevano, sol perchè paresse condurre a miglior stato di cose. Moderato, insomma, abbastanza da non avere voglia di nuovi sac­cheggi sanculotti: non mai tanto, però, da rinnegare il nonno democratico e rousseuiano o Pavere difeso a suo tempo la Repubblica Ligure contro l'esercito della LT Coalizione (che, anzi, in una lettera del 1832, messa in luce dal Ciampini, si darà vanto esplicito di avere imparato a Genova a fare sacrifizi per la patria); né mai da avere paura delle rivoluzioni o non vedere anche in esse un fattore di progresso. E infatti, mentre nel 1821 simpatiz­zerà per la rivoluzione greca ed acclamerà nel 1831 alle Trois giorieuses, nel 1814 la prospettiva della caduta di Napoleone e deDa restaurazione bor-bonica in Francia lo riempiono di preoccupazione. Una sua lettera in pro­posito, costituisce uno dei primi documenti conservatici intorno al suo orien­tamento politico, ed il Ciampini nota giustamente come in essa manchi del tutto ogni rancore per le traversie subite ad Anversa nel 1808 ad opera dello stesso Napoleone, ed abbondi viceversa il timore della reazione. Molto meglio sarebbe, scrive il Vieusseux, se la Francia, pure tornando ai suoi confini tradizionali, potesse continuare ad essere governata da un Napo­leone, fatto più moderato e liberale dall'esperienza della sconfitta. Talché il Ciampini ne trae motivo per elogiare l'innata pacatezza d'animo e tem­peranza di giudizi del suo eroe. Ma c'è anche più, a parere nostro, di un caso di personale equilibrio, in questo atteggiamento politico, pur se in effetti Giampiero aveva avuto dal buon Dio il dono di un'invidiabile padronanza dei propri nervi. Basta pensare al Sismondi ed al Constant durante i Cento Giorni, al complessivo lealismo degli ugonotti francesi rispetto all'Impero, od a quello dei loro cugini valdesi in Piemonte (tale che un loro pastore Peyran poteva addirittura cumulare nella sua persona la carica di mode­ratore ecclesiastico e di sottoprefetto napoleonico...) e si capisce subito quel che hanno in fondo all'anima tutti questi protestanti: Napoleone sarà magari il despota dall'insaziabile esprit de conquéte, ma resta ugual­mente l'uomo del Codice Civile e quindi della parificazione nei diritti degli acattolici con gli altri cittadini. Dunque, fra Napoleone ed il Terrore Bianco, meglio Napoleone, specie se un po' convertito dalle misteriose vie della Provvidenza ( dont il ne nona appartient point de saisir le détail...) ad un minimo di Evangile di moderazione e di libertà. E difatti il nostro continua puntualmente: Je crains tellement le rétour des vieilles idées que je m'attenda mèms, si un Bourbon xevient sur le trone, à voir rénou-veler dea avanies pour Ics protestante...
Ma, d'altra parte, pure con questa posizione complessivamente mode­rata, sempre nel 1814, scriverà al Sismondi di essere incerto Se dirsi ita­liano o francese e propenso alquanto alla seconda alternativa, in quanto in Francia esiste un setti corps de nation ed un certain esprit national, mentre in Italia non si vedono altri che regionalismi e campanilismi in lotta astiosa gli uni con gli altri. E, nel 1822, in un memoriale consegnato al diplomatico austriaco de BombeUes, lamenterà che Napoleone non abbia saputo fare dell'Italia un Tcgno unitario con Roma capitale che sarebbe stato ben seducente veder salire per le ruine del Vaticano al Campidoglio